Christo e l’arte: «Un pacco regalo

Christo e l’arte: «Un pacco regalo
di Angela Maria Piga
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Sabato 5 Novembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 23:19
DÜSSELDORF All’indomani del successo internazionale ottenuto con “Floating Piers”, il progetto realizzato da Christo (Gabrovo, Bulgaria, 1935) sul lago d’Iseo quest’estate, che ha visto migliaia di persone camminare lungo 3 km sulla superficie dell’acqua, ripercorre la storia del suo lavoro l’artista bulgaro, e della moglie Jeanne-Claude (Casablanca, Marocco, 1935- New York, 2009) e lo fa al Museo Kunstpalast di Düsseldorf, nella conferenza “Revelation through Concealment” a cui in centinaia sono intervenuti il 3 novembre. La conferenza prende spunto dalla mostra in corso al Museo “Behind the Curtain. Concealment and Revelation since the Renaissance. From Titian to Christo” (a cura del direttore Beat Wismer e Claudia Blümle) - una mostra collettiva dal Rinascimento a oggi sul tema di come l’arte utilizzi stoffe e tendaggi per rivelare o nascondere il soggetto rappresentato. Un paradigma per Christo, che con Jeanne-Claude ha delineato paesaggi e impacchettato monumenti in tutto il mondo, cominciando proprio a Roma, dove impacchettò la sua prima statua nel 1963, a Villa Borghese. Lo stesso anno impacchettò a Düsseldorf il “Beetle”, il maggiolone Volkswagen, per lo storico gallerista Alfred Schmela, esposto nella mostra.

Nel suo lavoro lei mette in evidenza gli oggetti nascondendoli. In passato la rappresentazione del tessuto nei dipinti o nelle sculture aveva scopi forse più celebrativi?
«Non direi. Il tessuto è sempre stato parte integrante dell’arte, basti pensare al ruolo delle pieghe nei dipinti, da quelle più spigolose del Medio Evo Pensi a quelle flamboyantes del Barocco. Poi vi fu Rodin, che dovendo fare la statua di Balzac, ne fece due, la prima di Balzac nudo, con tutti i dettagli in vista, e poi una seconda, per la quale intinse nel gesso la cappa dello scrittore coprendone tutta la figura. In questo modo però vennero messe in risalto le proporzioni, che spesso nei dettagli si perdono. Il mio progetto del Reichstag a Berlino fu simile: un edificio tipico vittoriano, ornato, pieno di dettagli, che per due settimane, nel 1995, abbiamo nascosto con tessuto e corde. Questo mise in evidenza la struttura principale dell’edificio».

Ma celare non allontana l’oggetto dallo spettatore?
«Al contrario. Molta gente, fra i milioni di visitatori, si avvicinò per toccare il tessuto. Non si vedono oggi persone toccare gli edifici pubblici. Il tessuto ha una relazione profonda con l’essere umano: tessere, come coltivare e cacciare, significa ripetere un movimento due volte. E questo processo di ripetizione, spiegava Engels, è alla base dell’evoluzione umana».

Sul lago d’Iseo quale fu la reazione invece?
«Le persone camminavano a tu per tu con l’acqua, come in uno stato ipnotico, senza uno scopo. E anche qui abbiamo toccato qualcosa di profondamente naturale, la nostra attrazione verso l’acqua. L’uomo è fatto al 75% di acqua. I nostri progetti sono sempre stati un’estensione della natura dell’esistenza umana».

Al Reichstag toccarono la stoffa, quando impacchettò la statua a Villa Borghese, la lasciarono fare perché pensarono a un restauro in corso... Ricorda altre reazioni così impreviste?
«Quando impacchettai nel 1970 a Milano il monumento a Leonardo e a Vittorio Emanuele, sì. La mia opera non ha mai una valenza politica: cresciuto in un paese comunista sono allergico a ogni tipo di propaganda. A maggior ragione fu abbastanza ironico che quel giorno sopraggiunsero attorno al monumento dell’ultimo re d’Italia centinaia di operai dal Sud a manifestare con tanto di bandiere rosse usando il monumento come podio, monumento tanto più visibile quanto più era impacchettato. Questo significa che le strutture sono dinamiche, integrate allo spazio e alla sua vita».

Nel 1968 venne dismesso il suo progetto di impacchettamento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. La neo-direttrice Cristiana Collu ha da poco ripensato gli spazi della Galleria, restituendo loro la funzione originaria, cioè ha innovato recuperando il passato. Che sia una chance per la Gnam di vedere il suo progetto realizzato?
«Io e Jeanne-Claude non abbiamo mai voluto ripeterci e ormai c’è stato il Reichstag. Non ci ha mai interessato quello che sappiamo già fare. Ogni progetto è un percorso unico, un viaggio di vita».
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