Placido: «Undici donne per parlare di lavoro»

Placido: «Undici donne per parlare di lavoro»
di Gloria Satta
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Sabato 22 Ottobre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 27 Ottobre, 18:47
Applausi in sala, discussioni tra il pubblico e una conferenza stampa ”atipica” in cui autore, regista e attrici hanno discusso con fervore e competenza di mercato del lavoro, globalizzazione, dignità, partecipazione. La Festa di Roma chiude con il film di Michele Placido, 7 minuti (uscirà il 3 novembre). Prodotto da Federica Vincenti con RaiCinema (più coproduttori francesi e svizzeri), ispirato all’omonimo testo teatrale di Stefano Massini, il film è interpretato da 11 attrici tra cui Ottavia Piccolo, Violante Placido, Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Anne Consigny.

Ispirato a un fatto vero avvenuto in Francia, 7 minuti si svolge in una fabbrica nel momento in cui le operaie devono decidere se accettare o no la richiesta del padrone: rinunciare a sette minuti al giorno di pausa in cambio del mantenimento del posto. Sembra scontato il sì, ma il dibattito tra le donne si accende in un crescendo drammatico, che tiene lo spettatore col fiato sospeso. «Il film si domanda fino a che punto si è disposti a rinunciare alla propria dignità pur di lavorare», spiega Placido che rimane fedele al suo cinema fatto di cuore, indignazione, impegno civile. E ammette, all’unisono con Massini, di essersi ispirato al cult di Lumet La parola ai giurati.

Com’è nato il film?
«Massini mi ha portato il testo e io l’ho dato da leggere a mia moglie produttrice Federica per capire se si potesse trasferire sullo schermo. Ma all’inizio ero perplesso».

Perché?
«Da tempo, in Italia, il cinema evita di parlare del lavoro. Figuriamoci poi proporre un film con 11 donne! Ma Federica, testarda, non si è arresa e i finanziamenti sono spuntati. Prima quelli internazionali, però».

Cosa la rendeva sicuro che il film andasse fatto?
«Il tema universale. Infatti i francesi si sono buttati nel progetto proprio mentre il Paese era lacerato da scioperi e manifestazioni per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. E ora siamo attesi al Festival di Tokyo».

Il cinema italiano capisce solo la lingua della commedia?
«Vuole fare i soldi, tutto qui. Non mi sento di dare la croce addosso a realtà complesse come Rai e Mediaset che devono rendere conto dei soldi investiti. Ma da noi deve pur esistere un cinema che non sia solo di evasione».

Come definirebbe 7 minuti? Un film di denuncia?
«Un film sull’attualità. Come si può dimenticare che ci sono gli attentati, che sbarcano i migranti, che il lavoro è a rischio? Io, da regista, non ci riesco proprio».

Non pensa che gli spettatori cerchino un po’ di svago proprio per dimenticare i problemi?
«Non sempre. Vogliono anche film seri, collegati all’attualità. Come La verità sta in cielo di Faenza, sul caso Orlandi, che sta incassando. Bisogna continuare su questa strada per far crescere il pubblico».

Con che criteri ha scelto le protagoniste?
«All’inizio volevo attrici prese dalla strada, poi ho capito che senza nomi noti il film non si sarebbe fatto. Ottavia Piccolo e Balkissa Maiga avevano già recitato in teatro. Di quelle, bravissime, scritturate da me qualcuna, come Mannoia, è inaspettata. Volevo incuriosire il pubblico».

È più difficile gestire un cast tutto di donne?
«Per me è stato facilissimo, grazie al talento e alla carica umana delle mie attrici. Sul set non pensavo di emozionarmi tanto».

Cosa farà?
«Tra un paio di settimane comincio Suburra, la serie Cattleya per Netflix di cui dirigerò le prime due puntate. I protagonisti saranno Alessandro Borghi, che era anche nel film di Sollima, e la new entry Claudia Gerini circondata da attori giovani e sconosciuti. Poi, di nuovo con Massini, ho un altro progetto appassionante».

Quale?
«Racconterò, sempre a puntate per la tv, la Roma del Rinascimento attraverso la figura di Caravaggio. Il titolo è Babilonia. Ho preso gusto alle serie: appassionano il pubblico e, cosa non secondaria, hanno un grande mercato internazionale».

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