Caso Muraro, gli incarichi d'oro alla manager indagata con l'ex ad Panzironi

Caso Muraro, gli incarichi d'oro alla manager indagata con l'ex ad Panzironi
di Michela Allegri e Cristiana Mangani
3 Minuti di Lettura
Martedì 4 Ottobre 2016, 07:56
Sette anni e un'infinità di consulenze extra. Parte dal 2009 l'indagine della procura nei confronti di Paola Muraro e degli incarichi ottenuti come esperta della municipalizzata dei rifiuti. Perché i pm ritengono inutile andare a guardare più indietro, visto che in quel caso i reati sarebbero prescritti. L'attività dei carabinieri del Noe, delegati all'indagine, punta ai contratti che l'assessore avrebbe firmato ogni 12 mesi, per un valore totale di circa 500mila euro. I procuratori aggiunti Paolo Ielo e Michele Prestipino, e il sostituto Alberto Galanti, sono convinti che la super esperta ingaggiata dall'Ama, legata a doppio filo all'ex amministratore delegato Franco Panzironi e all'ex direttore generale Giovanni Fiscon, abbia intascato molti soldi in più di quelli realmenti dovuti. Ricompense ottenute con una serie di incarichi frammentati fuori ingaggio che, forse in modo illecito, le avrebbero consentito di fare lievitare lo stipendio. Una tesi investigativa sulla quale poggia la contestazione di abuso d'ufficio nei suoi confronti, e anche nei confronti dei due ex manager Ama, oggi imputati nel processo a Mafia Capitale. E per la quale a piazzale Clodio stanno pensando di procedere molto rapidamente, chiudendo l'inchiesta forse già a fine ottobre, probabilmente anche con la richiesta di giudizio immediato. Nel frattempo, l'assessore sta valutando, insieme con il suo avvocato Riccardo Olivo, di presentarsi in procura per rendere dichiarazioni spontanee, a meno che non siano i pm a convocarla nei prossimi giorni per un interrogatorio.

L'EX AD SOTTO ACCUSA
Così, dopo la decisione di iscrivere l'esperta e il suo intimo amico Giovanni Fiscon sul registro degli indagati in concorso tra loro, la procura ha deciso di tirare dentro all'inchiesta anche Franco Panzironi, al quale viene contestato lo stesso reato di abuso d'ufficio. C'è sempre lui sullo sfondo delle decisioni di Muraro, anche se poi chi spinge per garantirle incarichi e favori è principalmente Fiscon. La forza dei due manager coinvolge anche altri dirigenti che sono finiti sul registro degli indagati per avere pure loro garantito incarichi strapagati alla signora dell'ambiente. A cominciare da uno scatto del compenso annuale da circa 60mila euro a 80mila.
Insomma, soldi con la pala, la cui legittimità desta dubbi in chi indaga. E non è tutto, perché negli atti dell'inchiesta è finita anche una commessa satellite che risale a due anni fa.

LA COMMESSA SATELLITE
E' il 2014, su delega dell'ex direttore generale, l'assessore viene scelta per curare la bonifica di Ponte Malnome, stabilimento della municipalizzata colpito da un'alluvione. Per quel lavoro, l'Ama riconosce a Muraro un credito di 50mila euro. La situazione è disastrosa. Un'ondata di pioggia torrenziale fa straripare il fiume che attraversa Valle Galeria. Il sito Ama di Ponte Malnome, che contiene scarti ospedalieri, si allaga. I rifiuti pericolosi si riversano nelle strade e nei campi. Muraro viene incaricata di risolvere la situazione, mentre Fiscon viene iscritto sul registro degli indagati per getto pericoloso di cose.

LA SECONDA ACCUSA
La bonifica è solo l'ultimo degli incarichi sospetti su cui la Procura sta facendo accertamenti. Anche perché i magistrati puntano a dimostrare che l'assessore non fosse una semplice consulente esterna, ma una dirigente di fatto dell'Ama. L'inchiesta riguarda anche i rapporti con il ras delle discariche laziali, Manlio Cerroni, che in un filone parallelo è accusato di associazione a delinquere, truffa e frode. Per i magistrati, l'esperta avrebbe tentato di favorire il Supremo una volta diventata assessore. Agli atti, infatti, c'è un documento da lei siglato pochi giorni dopo la nomina e che, ora, le costa una seconda accusa di abuso d'ufficio. Il documento risale agli stessi giorni in cui l'ex consulente, in diretta streaming, proponeva con forza la riapertura di uno stabilimento del ras: il tritovagliatore di Rocca Cencia, inutilizzato da marzo e finito al centro dell'inchiesta sul ciclo dei rifiuti laziali.