M5s, Mirabelli: incostituzionale il contratto firmato da Raggi e consiglieri

Raggi
di Diodato Pirone
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Lunedì 3 Ottobre 2016, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 4 Ottobre, 07:53

Le convulsioni della giunta pentastellata del Comune di Roma hanno fatto finire in secondo piano uno degli ingranaggi più importanti che regolano la vita della nuova amministrazione: il Codice di comportamento M5S firmato dal sindaco Virginia Raggi e dai consiglieri (ma non dall’assessore all’ambiente Paola Muraro) che comporta una multa di “almeno 150.000 euro” in caso di inadempienza di regole minuziosamente fissate in una decina di punti. Peraltro si tratta di regole “applicate” al Consiglio Comunale di Roma ma non per quello di Torino il cui sindaco M5S, Chiara Appendino, non l’ha firmato. Del Codice e dei suoi possibili effetti pratici abbiamo parlato col professor Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale.

Professor Mirabelli, da un punto di vista giuridico che valore dà a questo Codice?
«Non può avere alcun effetto pratico. Non solo è all’evidenza incostituzionale, ma nessun tribunale civile si sognerebbe mai di obbligare chi ha firmato questo Codice a versare 150.000 euro al Movimento 5Stelle o ai suoi garanti. Come vedremo non ce ne sono gli estremi giuridici».

Che succederebbe in pratica se il sindaco o gruppi di consiglieri M5S dovessero differenziare il loro comportamento da quello del Movimento? Quali conseguenze subirebbero in caso di un diktat pentastellato?
«Nessuna sul piano giuridico. Ripeto: non ci sono gli estremi giuridici per costringere un eletto a pagare qualcosa alla formazione con la quale si è presentato alle elezioni. Il Movimento 5Stelle non ha alcun potere giuridico per costringere i firmatari del Codice a pagare o a comportarsi diversamente dalla loro propria volontà. Né tantomeno a restare per sempre nel gruppo. Diverso, ovvio, è il discorso politico. Lo si è visto anche con la sindacatura Marino: il Pd in quanto partito non potette costringere l’allora sindaco Ignazio Marino alle dimissioni. Furono i consiglieri comunali, in quanto eletti, a farlo cadere dimettendosi essi stessi e ponendo fine alla consiliatura. Ma quella fu una scelta politica attuata attraverso i canali previsti dalla legge».

Quali sono le basi giuridiche che rendono nulla la multa da 150.000 euro prevista dal Codice M5S?
«Il Codice è un documento interno di una formazione politica. E fin qui è utile perché quando chiede a chi lo firma di dichiarare di non aver riportato condanne penali e di non essere affiliato a società criminali aiuta l’elettore a capire per chi vota. Ma gli eletti, come stabilisce la Costituzione, rappresentano tutto il corpo elettorale e le istituzioni in quanto tali. La Costituzione stabilisce che gli eletti “non hanno vincolo di mandato”. Dunque nessun partito può stabilire regole vincolanti che finiscono per disciplinare non la vita interna della formazione politica ma quella delle istituzioni. Da questo punto di vista le regole del Codice M5S non solo appaiono in alcuni punti bizzarre e criticabili ma sono semplicemente nulle».

Scusi presidente però non potrà negare che in Italia ci sia un problema di trasformismo per cui molti eletti cambiano partito.
«Questo problema è secolare. Ma devono essere le istituzioni a risolverlo attraverso regolamenti ad hoc, ad esempio eliminando i finanziamenti pubblici per chi cambia casacca. Però non è nemmeno giusto imbrigliare la politica. Di fronte a scelte strategiche i partiti possono spaccarsi e poi saranno gli elettori a giudicare».

Torniamo al Regolamento M5S. Oltre alla nullità della multa quali altri punti le sembrano fuori dalle regole giuridiche?
«Beh c’è la lettera D del punto 2 del Codice che balza agli occhi».

E cosa dice?
«Si afferma che le proposte amministrative più importanti devono essere sottoposte al parere tecnico-legale dello staff di Grillo e Casaleggio. Questa indicazione equivale ad una intrusione nella sfera amministrativa da parte di soggetti terzi che non ne hanno responsabilità. Non può avere alcun valore per la semplice ragione che gli elettori romani hanno scelto Virginia Raggi e non Beppe Grillo per rappresentarli».

Altri punti “deboli”?
«Sono colpito dal punto 4 del Codice dove si parla di una gestione costante e trasparente della comunicazione per favorire una partecipazione dei cittadini. Principio altamente condivisibile che però diventa atipico quando si afferma che lo strumento ufficiale di tutto questo è il sito www.beppegrillo.it, ovvero uno strumento privato».

In effetti...
«Il sito di Grillo in questo Codice assume la forma di Gazzetta Ufficiale Privata. C’è una sovrapposizione fra ciò che è partitico e ciò che è istituzionale che giuridicamente non ha senso compiuto. E poi...». 

Poi?
«Il Codice stabilisce l’approvazione dei Garanti anche per la scelta di collaboratori. Punto non valido anch’esso. Si può capire la delicatezza del tema ed è normale e fisiologico che un amministratore possa consultarsi con i capi della sua parte politica sulla scelta di una o più persone che devono lavorare al suo fianco. Ma inserire questa indicazione in un documento, cioè in un atto formale, a me ricorda tanto quelle culture di derivazione autoritaria che diedero vita a figure come i Commissari del Popolo scelti da un partito, non dal corpo elettorale. Così come sono nulli i punti che assegnano a 500 iscritti al movimento la possibilità di dichiarare “gravemente inadempiente” gli eletti. Ma la legge è legge: gli eletti debbono rispondere a tutti gli elettori non agli iscritti ad un partito. Non c’è Codice che tenga».
 

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