Nel nuovo quadro concorrenziale la Deutsche ha adottato le stesse strategie di questi suoi più diretti concorrenti e, seguendo l’evoluzione della finanza mondiale, si è progressivamente caricata di “derivati” ed altri complessi prodotti finanziari, la cui valutazione è estremamente complessa anche da parte delle autorità di vigilanza. Titoli dai quali, forse a causa del suo provincialismo, il sistema italiano si era mantenuto distante. Per cui appariva a molti osservatori più sano degli altri.
Quando, arrivata la crisi finanziaria, i problemi della valutazione di questi titoli sono giunti al pettine con lo sciagurato crollo della Lehman, il governo americano è corso prontamente ai ripari e ha guidato e concretamente aiutato la riorganizzazione del suo sistema bancario mentre l’Europa ha prolungato le proprie incertezze, adottando regolamenti complicati e di difficile interpretazione. Con il progredire della recessione l’analisi delle debolezze europee si è concentrata soprattutto sui crediti dubbi o inesigibili, colpendo in particolar modo il sistema bancario italiano, indebolito non solo dalla crisi dell’edilizia ma anche dal crollo del Pil, dalla chiusura di quasi un quarto del suo apparato produttivo e da una caduta dei profitti e degli investimenti senza precedenti.
Negli ultimi mesi la debolezza dell’economia e i bassi tassi di interesse hanno fatto arrivare al pettine anche i nodi dei derivati e degli altri titoli tossici, riguardo ai quali il sistema europeo non aveva messo in atto i massicci interventi adottati dal governo americano. La Deutsche Bank, anche perché il governo tedesco (così come quello italiano) non aveva ritenuto opportuno ricorrere ai massicci aiuti pubblici messi in atto in Spagna e Gran Bretagna per il salvataggio delle banche pericolanti, si è trovata quindi in progressiva difficoltà.
Un bel contributo ad aumentare questa difficoltà è stata infine la decisione del governo americano (Department of Justice) di appioppare una corposa multa alla Deutsche per presunti comportamenti non corretti nel campo dei famosi derivati e affini. Il variare delle previsioni dell’ammontare della cifra ha fatto saltare in alto e in basso le azioni negli ultimi giorni, ma il problema non è questo perché la Deutsche dispone di risorse effettive e potenziali certamente sufficienti a farvi fronte.
Il problema sono le incertezze e i dubbi rispetto a come sono misurati gli attivi e i passivi della banca. Si pongono in questo caso problemi analoghi a quelli che si sono posti sui criteri di valutazione dei rischi bancari a livello europeo, criteri che hanno particolarmente colpito il nostro sistema, basato soprattutto su una normale attività creditizia. Nel caso della Deutsche si deve inoltre tenere conto del fatto che, ad influire sul livello delle quotazioni, sono i grandi fondi di investimento (soprattutto americani) e, anche se in misura più limitata, lo stesso governo americano.
Non voglio con questo dire che sia cominciata una guerra sistemica fra Stati Uniti ed Europa e continuo a ritenere i casi Apple e Volkswagen come casi a parte, ma sono costretto a constatare che, ancora una volta, le divisioni europee ci rendono più deboli di fronte alla globalizzazione. La circostanza che a soffrire sia una banca tedesca non deve perciò dare alcun respiro di sollievo a noi italiani perché noi e i tedeschi respiriamo la stessa aria. Mi auguro solo che il governo tedesco, che si trova di fronte alla pur non imminente possibilità di dovere intervenire a rafforzare con un aiuto diretto un pilastro del suo sistema economico, si renda conto che la casa europea si regge solo se tutti i pilastri si sostengono a vicenda. Come si conviene per ogni edificio ben costruito.
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