"L'arte della guerriglia", il nuovo libro di Gastone Breccia

"L'arte della guerriglia", il nuovo libro di Gastone Breccia
di Marco Guidi
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Mercoledì 1 Maggio 2013, 23:19 - Ultimo aggiornamento: 3 Maggio, 21:25
C'era una volta la guerra tradizionale: i due eserciti si affrontavano in campo aperto, uno vinceva, l'altro perdeva, si firmava la pace e si era pronti per un'altra volta.

Dal tempo dei Greci i militari e i politici hanno continuato a pensare che questo fosse il modo giusto di fare la guerra. E in Occidente, fino alla Guerra di Corea, le cose sono andate più o meno così. Poi, però, le grandi potenze hanno iniziato ad affrontare Paesi più piccoli, meno potenti, meno armati. E, sorpresa, hanno iniziato a perdere. Gli americani in Vietnam e in Iraq, i sovietici in Afghanistan (e, la prima volta, in Cecenia).Perché i piccoli non facevano la guerra tradizionale, ma combattevano in modo diverso, con agguati, sabotaggi, attentati. Senza divise, senza armamenti sofisticati, senza, soprattutto, regole o leggi. A contendere spazio alla tradizionale e codificata guerra tra eserciti regolari era tornata a far capolino la sorella stracciona della guerra, la guerriglia.



Intendiamoci, la guerriglia è antica quanto la guerra e tutte le grandi potenze hanno dovuto affrontarla: i romani in Palestina, le armate di Napoleone in Spagna e in Tirolo. E poi i tedeschi in tutta l'Europa da loro occupata durante la Seconda Guerra mondiale e tante altre volte inglesi, spagnoli, americani, giapponesi ... Ma, e la cosa è lampante da decenni, ormai quasi tutti gli scontri armati si verificano tra un esercito regolare che occupa qualche Paese e bande guerrigliere. Bande che molto spesso vincono. E'capitato a Cuba nello scontro tra Castro e Batista, in Algeria, in Indocina, in Afghanistan. Da una parte aerei, elicotteri corazzati, missili, cannoni, carri armati, dall'altra armi leggere, esplosivi trovati qua e là. La cosa curiosa è che, dai tempi dei francesi in Algeria, non esiste un esercito regolare che riesca a trovare il mezzo per vincere una guerriglia che disponga dell'aiuto della popolazione, di un territorio abbastanza grande (è difficile fare la guerriglia in Lussemburgo) e, magari, di una base irraggiungibile dal nemico. Del resto, proprio mentre leggete, in Afghanistan, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e altri 30 Paesi stanno perdendo la guerra contro qualche migliaio di talebani.



ANTICA E DIFFUSA

Per capire come questo sia possibile così spesso, e soprattutto perché avvenga in tante parti del mondo, ora esiste un libro. Leggere L'arte della guerriglia di Gastone Breccia (293 pagine, Il Mulino, 25 euro) rappresenta un viaggio dentro la “piccola guerra”, questo significa nell'originale spagnolo la parola guerrilla, da cui deriva il termine guerriglia. Una guerra minore, che ha regole codificate dai cinesi fino dal 500 avanti Cristo nell'opera di Sun Tzu, e adattate ai tempi , di volta in volta da Lawrence d’Arabia, da Mao Zedong, dal generale Giap, da Che Guevara e da tanti altri. Una guerra minore che è fatta da chi attacca dove il nemico meno se l’aspetta, da chi è disposto a passare anni nella lotta («Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo» avrebbe detto un comandante talebano), da chi mette in conto rappresaglie feroci sui civili, sapendo che , dopo, i superstiti andranno a ingrossare proprio le fila di quella guerriglia che con i massacri si voleva stroncare.



Breccia è professore universitario, uno studioso di storia bizantina che è andato a vivere per qualche tempo in Afghanistan con il nostro contingente per studiare sul terreno la guerriglia. Uno che riesce a farci capire perché, in un'epoca in cui la guerra viene travestita da “operazione di pace”, dove nessuna forza armata può permettersi troppe perdite, pena la rivolta dell’opinione pubblica, la guerriglia è in grado di vincere. O, almeno, di durare anni e anni, vincendo gli invasori per un eccesso insopportabile di spese.



LE REGOLE

La guerriglia, dicevamo, ha regole sempre uguali. Attaccare i punti deboli del nemico e fuggire, non accettare scontri diretti, sabotare comunicazioni, costringere il nemico a presidiare zone sempre più vaste, spendendo uomini e mezzi. Ma soprattutto - lo dimostra Breccia - la guerriglia è la guerra del presente e del futuro, e si sposa spesso con il suo fratello malvagio, il terrorismo.
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