«I miei asiatici ricchi da pazzi», lo scrittore Kevin Kwan parla del suo libro best seller sui giovani miliardari viziati

Kevin Kwan
di Maria Latella
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Martedì 13 Settembre 2016, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 09:24
Kevin Kwan è nato e cresciuto a Singapore, a undici anni si è trasferito con la famiglia negli Stati Uniti e qualche anno fa è diventato di colpo lo scrittore più popolare tra i figli del nuovo jet set asiatico con il best seller “Asian rich kids” pubblicato ora da Mondadori col titolo “Asiatici ricchi da pazzi”.

Avendo letto il romanzo con gran divertimento, ho colto al volo l’occasione di incontrarlo mentre era a Roma. Kwan è ironico come la sua scrittura, conosce bene il mondo di viziatissimi venti-trentenni abituati a frequentarsi tra loro tra Singapore e Londra, Hong Kong e Shanghai. Era, e forse è, il suo mondo, quello di un ragazzo nato in una famiglia di grandi professionisti di Singapore, col nonno laureato a Edimburgo e diventato poi uno dei medici più affermati del Paese. “Asiatici ricchi da pazzi” è un classico intreccio di storie familiari, di denaro “vecchio” (quello delle grandi famigli di Singapore) e dunque sospettoso del denaro “nuovo”, tanto e ai loro occhi oltraggiosamente recente dei grandi ipermiliardari cinesi.

I figli di queste famiglie si incontrano, si innamorano, partecipano a matrimoni e grandi feste, tra mesi trascorsi a Parigi per scegliere un guardaroba da haute couture che ormai solo loro possono permettersi e soggiorni a New York dove, confida Kewin Kwan, i rich asian kids e soprattutto i loro genitori si sentono liberi. Più liberi che a Singapore dove tutti ti conoscono «e ogni volta che esci devi essere vestito come per un servizio fotografico». Più liberi anche che a Pechino o Shanghai dove le recenti restrizioni governative consigliano una certa moderazione nell’ostentare enormi ricchezze. Leggere il romanzo di Kevin Kwan è immergersi in mondi che conosciamo ancora poco. Ed è frizzante come parlare con lui.

In “Asiatici ricchi di pazzi” si descrive il mondo dell’aristocrazia del denaro di Singapore. Un mondo che come sempre accade guarda con diffidenza i nuovi ricchi che arrivano dalla Cina. Com’erano e come sono le ricche famiglie di Singapore?
«Erano e sono molto internazionali. Mio nonno era un medico chirurgo che aveva studiato all’universita di Edimburgo. A Singapore da sempre se hai soldi cercavi di avere un’educazione occidentale. Un mio parente è stato il primo cinese ammesso a Yale. Era una tradizione riservata a un piccolo circolo di benestanti ma negli ultimi venti anni il cerchio si è molto allargato. L’obiettivo è essere internazionale e conquistare il mondo».

Come convivono l’aristocrazia del denaro di Singapore e i nuovi ricchi cinesi?
«Sono mondi completamente diversi. E’ come cercare di mettere insieme una famiglia dell’aristocrazia romana e una ricca famiglia di italiani emigrati in New Jersey. In Cina non c’è denaro antico. E’ tutto nuovo. Overnight è nata una classe nuova. Un fenomeno di portata storica. Le culture sono completamente diverse. Ma cercare di riconoscere cinesi o singaporegni per come sono vestiti può rivelarsi pericoloso. Oggi tutti imparano presto a vestire bene. La differenza forse sta nel fatto che i ragazzi cinesi esibiscono senza complessi la loro ricchezza. Ma 15 anni fa ti capitava di incontrare a Hong Kong una ragazza vestita da capo a piedi Chanel e capivi subito che era cinese. Oggi capita molto più di rado».

Cos’è cambiato tra la Singapore di suo nonno e quella di oggi?
La generazione che oggi ha tra i sessanta e i settanta anni ha realizzato a Singapore un esperimento unico e, si può dire, una rivoluzione. Era quella parte di popolazione che, educata all’estero, è tornata in Patria ed è stata capace di riproporre quanto aveva imparato. Singapore è un’isola piccola e se vuoi cambiare le cose puoi farlo. Il problema è che i nipoti di quella élite non vogliono più vivere a Singapore. O comunque non vogliono più vivere soltanto lì. Io me ne sono andato a 11 anni e sono cresciuto negli Stati Uniti. Per me sarebbe davvero difficile lasciare New York».

E dunque che ne sarà di Singapore?
«Non vivo lì e non sarei in grado di fare previsioni. Credo che in generale tutta quella parte dell’Asia avrà una evoluzione comune, influenzata dal fatto che le nuove generazioni non hanno l’etica del lavoro dei loro padri e nonni. Quelle generazioni vivevano per lavorare e risparmiare, non spendevano soldi nemmeno per il parcheggio. I loro nipoti invece vogliono godersi il denaro».

E cosa succederà allora?
«E’ l’argomento del mio terzo romanzo “Rich people problems”, in cui affronto il tema di cosa succede quando la vecchia generazione sparisce dalla scena».

Gli asian crazy rich kids sono un mercato molto importante, soprattutto per il lusso made in Italy. Ma non solo, credo. Insieme alla passione per i vestiti cresce anche l’interesse per la cultura?
«Sicuramente sì. All’inizio volevano solo brand. Poi gradualmente c’è stata un’escalation e oggi tutto il life style è oggetto di interesse: l’arredamento, le vacanze, il cibo. Non è ancora un interesse di massa ma tra Singapore e Hong Kong conosco molta gente che è appassionata di arte moderna, per esempio. Fanno parte di quel global wealth club, quel circolo di ricchi globali, che si conosce, si frequenta ed essendo comunità vuole collezionare le stesse cose, esibire gli stessi artisti come trofei. Non è un caso che Christie’s e Sotheby’s si stiano spostando a Est».

Ma se abbiamo appena detto che gli asian rich kids in Asia poi non vogliono viverci?
«Terranno sempre una base a Singapore, tornano per i matrimoni e i funerali. Poi certo preferiscono vivere a L.A. o a Sidney dove il tempo è molto meno umido. Mia madre è una donna tradizionale ma oggi anche lei preferisce vivere negli Stati Uniti. Mi dice sempre: “A Singapore dovrei mettermi le perle anche per andare al supermercato”».

Lei è diventato il cantore di un mondo che nessuno aveva ancora descritto con humour. Come l’hanno presa a Singapore?
«In Asia il libro è stato davvero molto amato. E’ stato il primo tentativo di satira, una commedia, ma anche una satira sociale. Credo si siano sentiti lusingati di essere parte di un romanzo: non avevo l’obiettivo di insegnare niente, volevo soltanto intrattenere la gente. E molte giovani donne si sono identificate nel personaggio di Astrid. La producer che è stata a Singapore per i sopralluoghi in vista del film che sarà tratto dal libro ha contato almeno undici ricche ragazze locali che le hanno sussurrato: “Astrid sono io”».

Chi sarà il regista?
«Jon Murray Chu, uno dei piu famosi registi di Hollywood e sarà la prima grande produzione ispirata alla cultura asiatica del momento. D’altra parte la Cina è molto presente nel mondo del cinema; AMC è cinese e anche Fox e Paramount fanno affari con le produzioni cinesi. Per il cinema la Cina oggi è il più importante box office nel mondo. Sarà interessante vedere cosa succederà in futuro».

 
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