Cunningham: «Il disincanto dei nostri
giorni sarà battuto dalla forza dei libri»

Lo scrittore americano Michael Cunningham
di Leonardo Jattarelli
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Venerdì 9 Settembre 2016, 15:26 - Ultimo aggiornamento: 15:35
Per parlare di Michael Cunningham, premio Pulitzer per “The Hours” nel ‘99, non servono troppe parole ma molte letture. Quelle dei suoi libri ci conducono da sempre nell’infinito vortice dell’anima, dove ci si può incontrare o perdersi, redimersi e ritrovarsi o infine attendere il miracolo. Ne abbiamo parlato proprio con lo scrittore di Cincinnati che domani, al Taobuk di Taormina, riceverà il “Taobuk Award for Literary Excellence”. E’ sorridente, disteso. Teneramente “umano” come le sue creature.
Nelle fiabe i personaggi sono “succubi” della storia, nel romanzo moderno si liberano e diventano creatori di storie. Eppure nel suo ultimo “Il Cigno selvatico” lei gli restituisce la possibilità di crearsi un destino, almeno in parte. In qualche modo li riscatta. E’ così? 
«Tradizionalmente nelle fiabe i personaggi tendono ad essere mono-dimensionali, la loro unica funzione in realtà è far procedere l’intreccio. Questo personaggio è virtuoso e amorevole, quest’altro è malvagio e corrotto, ecc. Volevo riraccontare storie con personaggi completi, in senso più strettamente moderno. Personaggi che non sono del tutto virtuosi ma neanche completamente malvagi . Ora che ho raggiunto l’età adulta, avverto la necessità di riprendere le storie con cui sono cresciuto e di renderle più complesse».
Un’America alla fine del mondo, si potrebbe dire. In tutti i suoi romanzi racconta un Paese forgiato dalle anime dei suoi personaggi. Anche la provincia diventa una sorta di confessionale dove poter raccontare e raccontarsi, come Jonathan con Clare in “Una casa alla fine del mondo”. L’intimità è il segno distintivo delle sue opere? Cosa mette a rischio oggi, secondo lei, la nostra intimità?
«Nella mia produzione letteraria, penso più in termini di “empatia” che di “intimità”. Secondo me, uno dei principali scopi della narrativa è quello di dimostrare ai lettori come ci si sente nei panni di qualcuno altro, diverso da noi. Con il termine “empatia” non intendo far sì che i miei personaggi siano “gradevoli” o “carini”. Non credo che il compito di uno scrittore sia quello di far capire ai propri lettori perché i suoi personaggi si comportano in un determinato modo, anche se con le loro azioni feriscono gli altri, o se stessi». 
Cunningham e la famiglia, penso alla saga di “Carne e sangue” ma non solo. I nuclei familiari ricreano in miniatura cioè che accade nel Paese reale. Cleptomani, Drag Queen, giovani incompresi, violenze, sessualità nascoste. In cosa la Grande Famiglia dell’Umanità ha fatto dei passi avanti? L’America di Trump non le sembra un ritorno al primitivo?
«Rimango sconvolto dall’”America di Trump”, così come lo sono tutti, negli Stati Uniti e all’estero. Soprattutto, sono sconvolto dal livello di rabbia dimostrato da alcuni americani, e sono sconvolto per una così ingente presenza di xenofobia e razzismo. Ma continuo a credere che “L’America di Trump” sia composta da una piccola parte dell’intera popolazione; per come vengono raccontati dai media, sembra che siano più numerosi rispetto al loro reale numero. Ma dovremo comunque aspettare fino all’8 novembre per avere una risposta certa. Credo che gli italiani capiscano particolarmente bene il mistero Trump, dato che Berlusconi è stato rieletto più volte. In questo senso, siamo due stati gemelli». 
L’arte, la bellezza di cui parla in “Al limite della notte”, possono essere ancora dei validi strumenti di conoscenza e di liberazione?
«Se l’Arte e la Bellezza smetteranno di essere importanti, se cesseranno di essere utili, se non costituiranno più un valido strumento di liberazione, allora smetterò di scrivere e mi ritirerò a vivere in una baita nei boschi». 
Viene in mente il Barret de “La regina delle nevi”...Cosa sorprende Cunnningham nel 2016? Siamo ancora in grado di stupirci o il disincanto è uno dei mali del secolo?
«È vero, pare proprio che ci troviamo in un’epoca di forte disincanto, ma non è la prima volta che accade, e non solo in America. Prendiamo i vari periodi storici che si sono succeduti dalla caduta dell’Impero Romano fino alla Guerra Civile Americana. Eppure, continua la produzione di romanzi e di poesia, che la gente legge. Si continua a realizzare arte. La scienza e la medicina progrediscono. Ci sono ancora quotidiani atti di gentilezza e di generosità. Negli Stati Uniti stiamo lottando per sradicare le componenti razziste delle forze di polizia. Non voglio sembrare troppo ottimista, non sono ingenuo, ma credo si possa fare altro prima di abbandonare definitivamente la speranza»
Lei pone i suoi personaggi quasi sempre in una situazione di instabilità, penso a ciò che accade a Peter, Rebecca ed Ethan in “Al limite della notte” per dire. Viviamo in un’epoca di continuo terrore. Come vive Cunningham questo stato d’allarme ininterrotto? 
«É importante ricordare che i romanzi sono qualcosa di drammatico, la narrativa si alimenta di situazioni complicate e spaventose. Che ne sarebbe stato di Anna Karenina se avesse avuto la possibilità di lasciare suo marito per Vronsky, senza incontrare nessuna difficoltà o impedimento di sorta? Cosa mai sarebbe stato “Il Gattopardo” se il Principe Fabrizio non fosse stato tormentato dai tumulti sociali e dalla rivoluzione culturale? Leggerebbe mai un romanzo dove tutto inizia nel migliore dei modi, dove non succede niente di brutto, e dove tutto si conclude bene? Io vivo quotidianamente l’emergenza dell’esistenza umana, come fanno tutti, alcuni giorni più di altri. Tutti poi dobbiamo trovare un luogo dove rifugiarci» 
Se fosse stato un regista a chi si sarebbe ispirato?
«Mi piacerebbe essere un regista, grazie per avermelo chiesto. E sarei sicuramente influenzato da Scorsese, Bresson, Renoir, e Fellini, solo per nominarne alcuni». 
Al Taobuk Festival si parla della sua carriera. Come giudica il suo lavoro fino a qui?
«E’ una domanda difficile. Di certo, non rifarei nulla di quello che ho già fatto, se questo vuol dire scrivere una nuova edizione di un libro che è già stato pubblicato». 
A cosa sta lavorando in questo momento? 
«Sono a pagina 150 di un nuovo romanzo. Posso dirle solo questo. Se ne parlo troppo, allora si perde un po’ di “vita” mentre sto continuando a scrivere». 
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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