Il vertice di Hangzhou/ Un patto globale ultima chance per vincere la stagnazione

di Romano Prodi
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Domenica 4 Settembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:09
L’ondata di disgregazione dell’economia mondiale continua e si fa più intensa, esaltando le differenze politiche e gli interessi divergenti. Un processo che si è accresciuto con l’aggravarsi della crisi e con l’aumento delle disparità e delle insicurezze. Si è quindi interrotto un meccanismo che, per qualche decennio, aveva sostenuto la crescita soprattutto attraverso una crescente integrazione economica fra Paesi e continenti e il conseguente aumento del commercio internazionale.

Nello spazio di pochi giorni abbiamo assistito alla definitiva sepoltura del progetto di trattato di libero scambio fra Stati Uniti ed Unione Europea (il cosiddetto Ttip) in primo luogo a causa di una incredibile decisione della Commissione Europea che, rinunciando alle proprie prerogative, ha demandato l’approvazione del trattato ai parlamenti nazionali. L’idea che un trattato così complicato possa essere approvato da 28 parlamenti nazionali ha una possibilità di successo praticamente nulla.

Se questo non bastasse il vice cancelliere tedesco Gabriel e il ministro del Commercio francese Fekl lo hanno pubblicamente ripudiato. Una fine scontata anche perché accompagnata da una identica posizione americana. Il presidente Obama, essendo a fine carriera, difende il trattato ma sia Trump che Hillary Clinton lo avversano. In poche parole: ogni uomo politico che ha di fronte una sfida elettorale vede nei trattati di libero scambio più un pericolo che un possibile vantaggio.
 
Questo perché la maggioranza degli elettori ha paura di una globalizzazione che mette a rischio i propri redditi e la propria identità. Quest’ondata ha fatto presa non solo tra i simpatizzanti dei partiti anti-sistema ma anche fra coloro che portano avanti politiche più moderate e tradizionali. I perdenti sono infatti troppo numerosi. Personalmente sono sempre stato convinto (e anche oggi lo sono) che l’apertura dei mercati e la creazione di grandi aree di libero scambio siano state una delle fonti principali dello sviluppo e mi auguro che questo ritorni possibile in futuro. Ritengo tuttavia che ciò non avverrà se questi trattati non saranno accompagnati da una rete di garanzie e di assicurazioni che oggi non è percepita come tale. La crisi e la stagnazione rendono cioè impossibile la conclusione di accordi di carattere globale. In questa fase storica dovremo accontentarci di concludere trattati su punti specifici, facilmente compresi nei loro aspetti e nelle loro conseguenze.

Non che le trattative per il Ttip siano state portate avanti in modo segreto ma il loro svolgimento era così complesso che non poteva essere compreso dai cittadini. In un periodo di crescita condivisa i suoi complicati articoli sarebbero stati interpretati in modo positivo, ma nella situazione di difficoltà non può che prevalere la paura. Per raggiungere nuovi accordi globali dobbiamo prima preparare un nuovo quadro economico, nel quale riprenda la crescita e i suoi vantaggi siano più equamente distribuiti. In teoria questo nuovo cammino potrebbe partire da domani, perché proprio domani, attorno al poetico West Lake di Hangzhou (vicino a Shanghai) si riuniranno i G20, cioè i rappresentanti dei 20 Paesi che rappresentano i due terzi della popolazione e oltre l’80% dell’economia e del commercio mondiale.

Nonostante le tensioni esistenti nel Medio Oriente, fra Occidente e Russia e fra America e Cina, alla vigilia di quest’incontro prevale il proposito di dare una nuova spinta all’economia mondiale. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti e perfino il Fondo Monetario Internazionale hanno sottolineato la necessità di mettere in atto tutti gli strumenti fiscali e monetari necessari per incoraggiare la ripresa. Non è inoltre secondario il fatto che la Cina, che ha la responsabilità della presidenza dei lavori, abbia già fatto questa scelta. Anche se la sua crescita annuale non è più a due cifre ma solo (si fa per dire) tra il 6 e il 7% all’anno, essa sta portando sulle sole sue spalle un terzo della crescita dell’intero mondo. La sua scelta per una ripresa dello sviluppo è quindi prevalente. Rimane l’Unione Europea che, nell’attesa di regolare nei secoli futuri l’uscita della Gran Bretagna, sembra non volere prendere decisioni di politica economica prima del grande round elettorale francese e tedesco del prossimo anno.

Eppure tutti sanno che le elezioni si susseguono l’una all’altra e che, dopo le elezioni francesi e tedesche, vi saranno quelle europee ed italiane. E poi elezioni regionali e referendum di vario tipo. Senza contare le incertezze e le divisioni sulle sanzioni nei confronti della Russia e il rifiuto di ogni minima politica di solidarietà, condizione per il successo di una ripresa economica a livello continentale. Noi tutti auspichiamo che il G20, pur non essendo in grado di prendere alcuna decisione formalmente obbligante, renda chiaro che il ciclo storico dell’integrazione economica e del libero mercato è finito se non si mette in atto una politica economica più vigorosa e meno squilibrante. Lo dico con un certo rimpianto perché ogni ostacolo all’integrazione è un passo indietro nel cammino verso l’unità del mondo, ma non vi può essere alcun cammino in avanti se le decisioni non sono accettate da chi ne deve poi subire le conseguenze. Il liberismo potrà operare positivamente solo se sarà capace di dare buoni frutti per la maggioranza dei cittadini.
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