Commercio mondiale, perché serve l’accordo

di Giulio Sapelli
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Mercoledì 31 Agosto 2016, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 00:09
Le dichiarazioni sul Ttip del vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel sono di quelle che fanno la storia. Un paio di giorni fa il vice di Angela Merkel aveva rilasciato alcune dichiarazioni sul Trattato per il commercio transatlantico

Il trattato noto anche con l’acronimo di Ttip. In breve, il trattato che potrebbe dare vita alla più imponente area di libero scambio mondiale, secondo Sigmar Gabriel di fatto non avrebbe più alcuna possibilità d’essere firmato perché «noi europei - aveva precisato - non vogliamo soccombere alle richieste degli americani». Un annuncio agghiacciante, solo in parte corretto dalle successive dichiarazioni della Merkel per la quale invece vi sono ancora possibilità di un accordo. Resta però tutta la gravità dell’episodio, soprattutto se si pone mente al fatto che mentre l’Europa pare ansiosa di tagliare i ponti con gli Stati Uniti, la Cina ha raggiunto l’obbiettivo che persegue da quando, con l’ascesa al potere di Xi Inping, ha mutato la sua politica estera passando da difensiva a offensiva su scala mondiale, dal Mar della Cina fino al Sud dell’Europa. Per non dire dell’obiettivo fondamentale raggiunto con la creazione a Londra della «Banca per la via della seta» che il Regno Unito ha tenacemente voluto nonostante il divieto americano, peraltro non rispettato da alcuno (salvo che dal Giappone che è oggettivamente minacciato da una Cina troppo vicina e diventata ostentatamente aggressiva).

Non è un caso, ma un’astuzia hegeliana della ragione storica che la Brexit abbia dato drammaticamente forma a un primo segno del possibile, e sempre più minaccioso, sgretolamento dell’Occidente. Sia chiaro, gli Stati Uniti ci mettono del loro per far sì che la disgregazione imbocchi una via senza ritorno. Per esempio è stato un grave errore imporre la segretezza sulle trattative per il Transatlantic Pact, alimentando paure e diffidenze che purtroppo più volte si sono rivelate giustificate. In un mondo in cui i negoziati commerciali sono sempre meno concentrati sui dazi e sempre più sugli standard tecnici e gli aspetti legali dei reciproci obblighi contrattuali, imporre ai partner con i quali stai negoziando le proprie regole senza voler mediare davanti a proposte diverse, altro non è che stolido neo imperialismo commerciale.

E ciò stride ancor più di fronte alle dichiarazione rilasciate qualche tempo fa da Barack Obama al periodico The Atlantic, secondo il quale gli Stati Uniti hanno sempre più bisogno di condividere con partner regionali costi e responsabilità nell’affermazione della sicurezza contro minacce terroristiche destabilizzanti e contro la dura reazione di Mosca alle misure neo isolazionistiche imposte dall’Europa.

Chi ha seguito la recente attribuzione della gara tra Boston e Washington Dc per il treno ad alta velocità, vinta dalla grande multinazionale francese Alstom, non ha potuto non essere colpito dal fatto che neppure un posto di lavoro andrà ai francesi perché tutte le forniture e le prestazioni dovranno essere nord americane. Va anche precisato che questo atteggiamento irragionevolmente risoluto non è riservato alla sola Europa, perché è noto che gli Stati Uniti non appena possono si rifiutano di applicare una qualunque clausola di reciprocità.

Dunque, se in Germania c’è chi spinge in direzione del fallimento del Ttip per motivazioni che non brillano certo per lungimiranza, Oltreoceano c’è chi ancora non ha capito che un accordo commerciale equilibrato sarebbe nell’interesse di tutti. Per questo valuto un segnale drammatico la dichiarazione del vice cancelliere tedesco, giunta proprio quanto terrorismo e rischi di disgregazione dell’Occidente aumentano nella popolazione il bisogno di sicurezza e di unità.

Per fortuna in Europa e in Italia ci sono ancora teste che stanno lavorando perché il Trattato giunga in porto nonostante la corsa fratricida scatenata dalla lotta per la presidenza americana. Ma i margini non sono ampi e il tempo utile si va riducendo di giorno in giorno.
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