Anche le tensioni sorte intorno al governatore Mario Draghi altro non sono che una piega della terra di mezzo che si muove, ora dividendosi con terremoti di profondità pericolosi, ora invece riavvicinandosi, con conseguenti increspature e rovine in superficie, nel gioco di specchi in corso tra politica ed economia a livello internazionale, tra Europa e Usa, organicamente e irrimediabilmente divise. L’unica cosa che può unire tutti di nuovo è la minaccia russa. Ma per vincerla, la minaccia, bisogna - come nell’immediato secondo dopoguerra - avere con sé la Grecia. Ed ecco che una nuova precipitante scossa tellurica si genera. Ecco che i creditori che vogliono veder onorati i loro debiti nei confronti della Grecia, non sono riusciti a formulare un accordo sui tagli necessari a sbloccare la nuova tranche di aiuti nell’ambito del piano di salvataggio da 86 miliardi. Chi sono i principali creditori? Circa il 60% del debito è detenuto dai Paesi dell’Eurozona. La classifica vede la Germania al primo posto con oltre 68 miliardi, seguita dalla Francia (quasi 44 miliardi) e dall’Italia (circa 38 miliardi).
Solo l’accordo con i creditori può consentire alla Grecia di avere tre anni di stabilità e riavviare il rimborsi degli stessi debiti, così da dare tempo alle forze produttive di ricompattarsi e via via innescare la crescita. Per quanto riguarda le quote restanti del debito greco, il Fondo monetario internazionale (i cui azionisti sono ancora una volta gli Stati) detiene un altro 8%, pari a oltre 21 miliardi. Stesso discorso per la Bce, la cui esposizione alla Grecia, in particolare attraverso il programma di acquisto di titoli di Stato (Smp), ammonta a oltre 18 miliardi. Ma Wolfgang Schauble, l’ordoliberista ministro delle Finanze tedesco per il quale il debito è una colpa e per Jeroen Dijsselbloem, presidente dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, della moratoria del debito è proibito addirittura parlare. «La riunione dell’Eurogruppo richiesta da Tsipras non ci sarà», ha fatto appunto sapere Dijsselbloem. E questo perché del debito greco l'Eurogruppo ha già discusso il 22 aprile nel contesto del programma di aggiustamento macroeconomico. Ma se ne è discusso in un verso niente affatto rassicurante.
Infatti, l'Eurogruppo ha esortato le autorità greche a concordare rapidamente con le istituzioni il pacchetto di riforme, per consentire di ultimare il primo riesame e il fatto che tale discussione si sia svolta nel contesto dei colloqui tematici sui regimi nazionali di insolvenza, concordando una serie di principi guida comuni che si concentrano principalmente sulla rapidità, la prevedibilità e l'efficacia in termini di costi di tali regimi. Ebbene, tutto ciò non fa presagire che si prospetti l’unica soluzione possibile. Ossia il condono definitivo del debito greco. Senza questo atto, è bene chiarire che la Grecia non si risolleverà più e l’Europa andrà incontro a una crisi irreversibile. Invece di aprire una discussione su ciò, il signor Dijsselbloem ha dato la parola al presidente della Vigilanza Unica, Danièle Nouy, aggiornando i ministri sui lavori in corso in materia di armonizzazione delle possibilità di intervento sul piano dei controlli e delle discrezionalità nazionali nel settore bancario della zona euro al fine di «garantire una maggiore parità di condizioni».
Ma se la parità di condizioni investe come un ciclone le nazioni in difficoltà, tutto si avvia verso una divaricazione crescente. Non a caso Alexis Tsipras ha chiesto un summit Ue: l’obiettivo era provare a sbloccare la situazione e mettere la mordacchia alla ex Troika. Tsipras voleva provare a convincere i partner comunitari che la Grecia, mantenendo gli impegni presi la scorsa estate con la firma del nuovo memorandum, affrontava ora il vero ostacolo: l’intesa finale con i creditori, così da non dover dare vita nuove misure d’austerità non previste dagli accordi precedenti. I creditori sono degli Stati, non dei privati, come abbiamo visto, e quindi possono ben rinunciare a vedere onorati i propri crediti in osservanza di una superiore “ragione europea di Stato”, che dovrebbe ancor più farsi sentire ora che si sta avvicinando la tempesta referendaria sulla Brexit, ossia sulla permanenza o meno del Regno Unito in Europa.
Quindi non vi è in gioco solo un principio di ragionevolezza fondato sul fatto che forse è più saggio rinunciare spontaneamente ai propri crediti, invece che sentirseli rifiutare da una nazione disperata.
E’ in gioco il contesto culturale e politico in cui si svolgerà il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna in Europa. Alla crisi dei migranti, alla nuova guerra fredda con la Russia, devono aggiungersi nuovi scontri, nuovi disordini, nuove sofferenze in Grecia? Il volto dell’Ue non potrebbe essere più matrigno e terribile: una Medusa che fatalmente indurrà la paralisi, se la ragionevolezza non prevarrà.
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