Alberi killer e topi padroni, salvate la Capitale dai flagelli

di Mario Ajello
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Venerdì 4 Marzo 2016, 00:32 - Ultimo aggiornamento: 09:12
L'invasione delle locuste, quella no? A questo punto può accadere di tutto a Roma, nella Sciagura Capitale in cui fauna e flora infieriscono ed è un martellamento di piccole calamità naturali che qui assumono dimensioni apocalittiche.

Sbarcheranno i coccodrilli all’ex porto di Ripetta? Arriveranno gli “Uccelli” di Alfred Hitchcock a fare compagnia horror ai gabbiani che assaltano i bambini e a rivaleggiare in ferocia con i pini che cadono provocando morti come i due automobilisti schiacciati ieri sulla Laurentina? La vegetazione si comporta così da queste disgraziate parti. 

Da domenica in poi, per un po’ di pioggia e per un po’ di vento, duecento alberi e rami sono caduti e sette grossi arbusti sono crollati soltanto nella giornata di ieri in cui i vigili del fuoco hanno fatto cento interventi per emergenze di questo tipo. Un altro pino, a Tormarancia, fa fuori quattro auto e manda un gruppo di persone sotto choc. Un platano si tuffa nel laghetto dell’Eur, fortunatamente non popolato. Ancora un pino va giù a viale America. E via così. Almeno non hanno ancora invaso la spiaggia di Ostia i milioni di scarafaggi - delle specie più sanguinaria, scientificamente denominata Heteronycus Arator - che si sono piazzati sulle coste argentine ma scalpitano per andare via. Si spera che non arrivino quaggiù, dove potrebbero cibarsi di tonnellate di guano, ammesso che a loro piaccia questa poltiglia per noi disgustosa, scivolosa e onnipresente. 
 
Dentro il raccordo anulare - o raccordo animale - l’insieme dei guai che finora hanno tormentato l’immagine e la vita quotidiana di questa città si arricchisce di un bestiario sempre più ampio e variegato. E quasi ci si avvia verso quei «300.000.000 di topi» della canzone di Francesco De Gregori: «Sudici topi ludici giocano a nascondino / e fanno tana nel tronco degli alberi». I pochi alberi ancora in piedi. I ratti trovano rifugio anche nella biglietteria dei Fori Romani (e il loro sangue cola dal soffitto come in un film splatter), nel museo di Palazzo Massimo, al Tempio di Venere e dovunque scorrazzano a falangi e scappano imprendibili, facendosi beffe dei gatti di strada che non ci sono più (andrebbe richiamato in servizio Romeo er mejo del Colosseo, quello degli «Aristogatti»). C’è chi li ha visti entrare in un ristorante affollato dalla porta principale e chi li ha visti uscire direttamente dal water di casa. Se i piccioni - che sono topi con le ali - nel resto del mondo hanno il merito di mangiarsi i roditori, a Roma la sfortuna Capitale vuole che non sia così.

Perfino le abitudini alimentari degli animali qui funzionano male. E il bus non passa (e quando arriva viene tamponato) ma i piccioni sì. Le buche stradali, che erano il grande incubo, lo sono tuttora: e grazie alla loro capienza fanno da garage ai tir e da ricovero a intere famiglie. Le pozzanghere restano simili ai grandi laghi dell’Ontario. E povera Roma: dovrebbe traslocare a Lourdes per vivere un po’ meglio? O riportare qui le spoglie di Padre Pio, che se ne sono appena tornate in Puglia senza averci lasciato il miracolo del risanamento?
 
Se uno guarda Roma da fuori, non può che pensare che in questo zoo e in questa groviera - quando le strade non hanno i buchi li stanno per avere e l’asfalto somiglia a una ragnatela pronta a perdere pezzi e a ingoiare viandanti - l’esistenza è un calvario. Dopo il contributo devastante e si spera insuperabile che il sindaco Marino ha dato a questa città, e mentre il commissario prefettizio fa quel che può, la tregua ancora non si vede all’orizzonte e le disgrazie non smettono di incrudelire. Stanno davanti agli occhi di tutti non solo per scuotere i romani dalla rassegnazione a qualsiasi calamità, naturale oppure no, e dal disarmo di fronte a una situazione disarmante a cui non bisogna sottostare. Ma anche per avvertire il prossimo sindaco - casomai non si fosse accorto dell’evidenza - della grande mole di problemi cui dovrà mettere mano appena prende posto al Campidoglio. 

La verità, forse, è che a Roma ci vorrebbe Jeeg Robot. Quell’eroe, «cuore e acciaio», il quale - nel film di gran successo appena uscito nelle sale - dopo una caduta nel Tevere riemerge dotato di poteri sovrannaturali. E nell’ultima scena, salva la Capitale dal regno delle tenebre.
 
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