Mosse avventate/Danni alla Ue dall’uomo della Merkel

di Giulio Sapelli
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- Ultimo aggiornamento: 16 Gennaio, 00:05
Le dichiarazioni del presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, sono per certi versi sconcertanti, per la loro violenza e per l’attacco personale rivolto al primo ministro di una delle nazioni fondatrici dell’Unione qual è l’Italia. Colui che dovrebbe garantire equilibrio, coesione e mediazione, come presidente dell’architrave dell’Unione, appunto Juncker, diviene la punta di lancia di un’offensiva dalla virulenza verbale inusitata contro Matteo Renzi. Qual è la ragione di questo attacco? Ve ne sono di diverse. La prima è certamente quella relativa alla politica economica europea, di cui la Germania è il dominus, ideatrice e protagonista indiscussa. 
L'Italia è divenuta recentemente una spina nel fianco di questa politica insistendo sulla crescita e ponendo in discussione l’austerità ad ogni costo che tanti danni ha provocato all’Europa. Le vicende greche e la crisi che lo scorso anno si è aperta nell’Ue, ha di fatto provocato una lacerante ferita nella politica europea. A tutto ciò si è aggiunta la tragedia dell’immigrazione, che ha spezzato in modo imprevedibile il sogno di Angela Merkel.

Un’Angela Merkel che pareva destinata a divenire l’icona dell’umanità sofferente: decine di migliaia di persone anelanti una vita migliore che avrebbero potuto trovare nelle terre tedesche la realizzazione dei propri sogni. E invece non è andata così.
La profondità della crisi culturale in cui si dibatte l’Europa - con il fallimento delle politiche di integrazione e di assimilazione, nonché del multiculturalismo - ha spezzato il carisma della cancelliera, la quale è stata travolta dalla tragedia del terrorismo islamico che nel Vecchio Continente, e soprattutto in Francia, ha scatenato la paura: e la paura ora diviene l’elemento centrale della lotta politica in Europa.

 
L’attacco di Juncker a Renzi è dunque la debole, improvvisata e improvvida risposta a questa situazione di crisi: è un atto più disperato e irresponsabile che utile e non potrà che accentuare la crisi europea. Essa altro non è che il fallimento della politica di condivisione della sovranità su base unicamente monetaria.
Tale politica si è via via trasformata, di fatto, in una politica di sottrazione della sovranità a causa di una egemonia tedesca che è ormai divenuta la causa della crisi endemica dell’Europa tutta. Proprio nel momento in cui, invece, dinanzi alle ondate di migranti la coesione e il coordinamento, insomma una comune visione, dovevano prevalere sulle istanze di dominio e di chiusura delle menti e dei confini. Sicché tale comune visione si sfarina in una rissa verbale inconcepibile da qualsivoglia punto di vista diplomatico la si voglia vedere.
La crisi di una specifica e sbilanciata costruzione europea ora è - grazie alla critica esasperata di Juncker - dinanzi agli occhi di tutti. L’Italia corre molti rischi dinanzi a questo attacco frontale, che non si può sottovalutare. Il nostro Paese può infatti rischiare l’isolamento e questo si deve assolutamente evitare.

Le avvisaglie si sono fatte già sentire con la critica - un’altra sorpresa - che il francese Pierre Moscovici, responsabile economico della Commissione, ha scagliato contro la situazione economica italiana. Sorpresa dei più. Non dovrebbe essere la Francia - la cui economia è peraltro in condizioni pietose - il nostro alleato preferenziale nella lotta contro l’austerity teutonica? Il fatto è che l’Europa e il Mediterraneo sono intrinsecamente uniti nei loro destini sin da quando iniziò l’era coloniale e sin da quei tempi, come è noto, i destini francesi e italiani (per non dire di quelli inglesi e italiani) si sono sempre divisi nelle ore topiche della nostra storia nazionale.
Ora la vittoria diplomatica dell’Italia in Libia, perché di vittoria si è trattato anche se il percorso è ancora irto di ostacoli, ha riaperto con la Francia il contenzioso degli equilibri di potenza nel Mediterraneo,dall’energia alla politica delle alleanze sia con l’Egitto sia con gli stati del Golfo.

Questa è la posta in gioco e il gioco ha il suo spazio di confronto anche nelle istituzioni europee, perché il mondo delle relazioni tra economia e politica è tenuto insieme dall’anello del potere internazionale. In questo contesto l’Italia con saggezza deve tener fermo il punto di riferimento fondamentale, vale a dire il rapporto strategicamente centrale con gli Stati Uniti, quale che sia il periodo in cui si dipana la politica di quella che ancora rimane la potenza leader su scala mondiale.
È un esercizio diplomatico difficile che l’Italia ha dinanzi a sé: deve saper trovare compromessi e mediazioni continui soprattutto ora che il confronto tra Usa e Russia non ha ancora trovato un punto di equilibrio. I teorici del blocco di potenza teutonico-baltico, che Juncker rappresenta, lo sanno benissimo e cercano in ogni modo di isolare l’Italia giocando di sponda anche con una Francia neo imperiale che non sa ancora scegliere una politica di alleanze che difenda nel lungo periodo i suoi interessi senza provocare continuamente rotture disastrose degli equilibri di potenza.

Questa difesa dei propri interessi, che la Francia ha ovviamente il diritto di esercitare, non può essere garantita dagli atteggiamenti anti italiani che periodicamente ritornano a farsi sentire nella cultura strategica dell’Eliseo. 
La partita è dunque molto complessa e rappresenta la vera prova di maturità non solo dell’Europa tutta ma in primis del governo Renzi. Del resto è sempre stata la politica estera a decidere del destino dell’Italia. Lo sarà anche questa volta, anche se ora il compito è più difficile che mai.
 
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