Strategie confuse/ Il fuoco amico fra gli alleati anti-Califfato

di Giulio Sapelli
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Mercoledì 25 Novembre 2015, 00:11
Che tipo di guerra sia in corso sul territorio che va dal confine turco con la Siria e l’Iraq, giù giù sino alla Libia, l’Egitto, risalendo sino all’Arabia Saudita per poi sfiorare l’Algeria e giungere al Fezzan e di lì al Mali e al Centro Africa, toccando anche Sudan, Yemen, Nigeria, che tipo di guerra sia questa, ebbene per capirlo dovevamo attendere l’abbattimento da parte della Turchia di un aereo russo da combattimento più di venti anni dopo il crollo dell’impero sovietico.



Insomma, mentre la Francia risponde allo sfregio terribile dell’Isis appellandosi non alla Nato, ma all’Onu, la Turchia, che è storica componente della Nato, abbatte gli aerei russi pur di fermare l’azione di Putin che di fatto favorisce i curdi turchi. Ora l’apparizione forzata di chi era un convitato di pietra cambia lo scenario. Il convitato di pietra è la Nato. Occorre rileggere Von Clausewitz per capire ciò che accade. Ma occorre farlo nell’edizione originale tedesca in cui si legge ciò che affrettate traduzioni non trasmettono, ossia: «La guerra è la continuazione della politica frammischiata con altri mezzi».



Cioè la guerra invera l’unità con la politica in modo assai meno lineare di quanto agli spiriti semplici non appaia. Ecco apparire il “frammischiarsi” della strategia con l’imprevedibile farsi della storia. Sono tante, infatti, le guerre in corso. E tutte cangianti. Cominciamo dalla Turchia che combatte Isis e curdi. L’obiettivo di Ankara è che i curdi turchi non imitino quelli siriani, i quali hanno raggiunto una loro solida autonomia civile e militare. Ma in Siria la guerra inizia dall’Arabia Saudita. E inizia per spezzare la linea di continuità che si potrebbe instaurare dallo stretto di Ormuz e quindi dall’Iran attraversando l’Iraq, sino a raggiungere, con gli Hezbolla in Libano, il Mediterraneo. L’Iraq è divenuto sciita grazie all’infausta distruzione del regime di Saddam Hussein che assicurava il dominio saudita su una maggioranza sciita costretta alla guerra per dieci anni contro l’Iran. Poi, dopo l’11 settembre, gli Usa decisero di far cadere Saddam e di distruggerne esercito e polizia, ponendo le basi per il reclutamento di massa pro Isis da parte dei Sauditi. Sia questi ultimi sia gli Usa in tal modo scelsero il disordine invece che un ordine precario, visto che la guerra per distruggere l’Iran era stata perduta.



Poi toccò all’Egitto di Mubarak che gli Usa vollero far cadere per consolidare l’alleanza con i Sauditi, ma le Primavere arabe sfuggirono loro di mano e i Fratelli mussulmani e i safarditi si dimostrarono allora per quel che erano: una minaccia per tutti gli stati arabi.

Di qui il contrordine: alleanza con i militari egiziani, sunniti certo, ma in primo luogo neo-imperiali, e l’avvicinamento all’Iran da parte Usa senza neppure negoziarne l’inizio con Israele.



Ed ecco allora che la situazione diviene esplosiva. I russi eredi di Ponomariov e Gromiko, grandi esperti di Medioriente e di diplomacy a livello kissingheriano, scendono in campo e fanno tutto l’opposto degli Usa. Ossia scelgono i nemici giusti e cercano di ricreare statualità e non di distruggerne gli embrioni (gli eserciti e le milizie). Tutto l’opposto della politica di Obama, il quale non comprende che difendere l’idea di stato in Siria vuol dire difendere gli alawuiti e quindi per ora Assad e poi un suo consanguineo.



Ma i russi hanno anche un’altra priorità, colpire l’Isis anche dal Mar Nero con missili a lunga gittata per segnare il ritorno alla politica dell’equilibrio del terrore su scala regionale e quindi del confronto di potenze. È il terrore che si dirige contro l’Isis con i bombardamenti dal cielo e la copertura dell’avanzata via terra delle truppe iraniane. Tutto il contrario di quel che fanno gli Usa.



Ora i francesi sono dinanzi a un terribile dilemma: per via terra certo essi combattono ma, guarda caso, solo in Centro Africa perché solo lì pensavano fosse la loro guerra e non altrove. Devono, invece, ora scegliere: la loro guerra di terra è anche in Siria con i russi? Rispondere, per la Francia, è fare i conti con un terribile combattente, ossia l’Isis, che, non a caso, colpisce russi e francesi con terribile e lucida violenza: nulla deve essere salvato degli infedeli. Ecco che la politica e la guerra “s’inframmischiano con altri mezzi” ossia con le politiche nazionali di potenza. Ma seguire queste politiche di potenza, significa colpire l’Arabia Saudita economicamente e quanto meno iniziare a minacciarla militarmente se non cessa di finanziare, armare, proteggere l’Isis e tutta la galassia terroristica islamista.



Scelta difficile e dolorosa che ogni intelligence suggerisce ai suoi capi politici. Ma essi non ascoltano. Tuttavia non c’è momento migliore di oggi, quando l’arma del petrolio si spunta per eccesso di produzione e crollo di prezzo. L’Occidente non ritrova se stesso se non riafferma con passo sicuro il controllo del mondo civilizzato su quello che civilizzato non è. Ma far questo vuol dire sfidare montagne di ignoranza e di stupidità. I cretini rendono più difficile la vittoria. E i pacifisti preparano la fine (militare) del mondo.