Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

La magnifica ortodossia irrituale degli All Blacks ancora campioni: il modello dopo la Rugby World Cup

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Sabato 21 Novembre 2015, 21:45 - Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 00:57
Meglio puntare in alto se si vuole migliorare, come fanno del resto gli stessi All Blacks che cercano sempre di superare se stessi, mai seduti, nemmeno per un secondo, sugli allori. Tra le eredità più luccicanti dell'ottava coppa del mondo vinta dalla Nuova Zelanda (a Roma il 12 novembre 2016, segnate la data) c'è la magnifica e rigorosa ortodossia irrituale di McCaw e compagni. Le basi del gioco restano rispettate fino al parossismo, ma poi arriva - sempre al momento opportuno - il colpo di geniale fantasia. Come nella meta più bella, e importante, dei Mondiali che per di più non ha coinvolto il giocatore più bravo, ovvero Dan Carter, il mediano di apertura che ha segnato più punti nella storia (1.598). Minuto 38 di Nuova Zelanda-Australia: nonostante il micidiale volume di gioco, i tutti neri sono avanti solo 9-3. Mini-raggruppamento al centro dei “22” australiani: il rapidissimo mediano di mischia Aaron Smith ignora Carter sulla sinistra e apre con un passaggio-fucilata sulla destra saltando Coles; la palla arriva al centro Conrad Smith che sorprende persino la regia tv: sprinta nella stessa direzione da cui proviene il passaggio, in bocca, insomma, all’asfissiante difesa “rovesciata” australiana. Invece Conrad, un amen prima di essere placcato, incrocia con Aaron che nel frattempo aveva “seguito” il passaggio. L’ovale, quasi invisibile per il sottomano di Conrad che ruota il busto con fantastica eleganza, torna nella mani di Aaron che può servire il capitano McCaw, omone con le mani da chirurgo: a quel punto, creato il soprannumero, con un delizioso finger pass McCaw appoggia a Milner-Skudder al quale basta tuffarsi: 17-3. Ci si potrebbero scrivere, su questa azione, parecchi capitoli dei manuali di tecnica. Così come sul drop decisivo di Carter, "sparato" all'improvviso, capolavoro balistico non anticipato dai soliti raggruppamenti-piattaforma.  Una meta meravigliosa e così irrituale da ricordare quelle segnate o ispirate dal geniale aussie Campese nella semifinale ’91 a Dublino proprio contro gli All Blacks quando nessuno parlava ancora di angoli di corsa e off load. E’ la prima, quella di Milner-Skudder, delle 5 mete che hanno trapuntato la finale più spettacolare, in fatto di gioco manovrato, di sempre. Degno epilogo di un mondiale-record che in testa ai suoi millanta successi ha messo la costante voglia, anche nella guerra di nervi che è una finale, di muovere il pallone negli spazi allargati, di correre qualche rischio supplementare pur di segnare un meta in più degli avversari invece che puntare a prenderne una di meno. Atteggiamento gradito assai dalle centinaia di milioni di spettatori della Rugby World Cup inglese, l'avvenimento sportivo che nella classifica all time ha davanti solo, in fatto di telespettatori, solo quattro mondiali di calcio. 
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