Paolo Ricci Bitti
Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

Rugby World Cup - Made in Japan (con un inchino)

di Paolo Ricci Bitti
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 23 Settembre 2015, 10:40 - Ultimo aggiornamento: 18 Settembre, 20:07

Alla fine, per dormire un po’, ho dovuto spegnere il cellulare perché continuavano a tempestarmi i messaggi di congratulazione per la grande impresa. Si sono fatti vivi anche compagni delle elementari e dell’under 11 che non sentivo da 30 anni. Ma non sono comunque riuscito a dormire lo stesso: una volta dopo l’altra ripartiva l’incubo del “mutismo” che era già affiorato durante gli ultimi minuti della partita. Dovevo commentare una cosa mai accaduta prima, un avvenimento che resterà nella storia della sport e non mi venivano le parole per raccontarlo. Ero strangolato dall’emozione e dall’orgoglio. E’ che non mi sembrava possibile quello che stavo vedendo in campo: ma come poteva essere vero che la squadra, la “mia” squadra, stava attaccando per vincere dopo aver persino rinunciato a un facile calcio per il pareggio, che già sarebbe bastato e pure avanzato per finire sulle prime pagine e nelle breaking news? Invece ciò che sembrava neppure sognabile è diventato realtà e non so come ho trovato le parole per descrivere quei momenti, i più potenti della mia vita non solo di telecronista. Ho pescato nella memoria i miei anni più belli, quando ero dall’altra parte dello schermo, quando dovevo correre e placcare e mi sembrava la cosa più bella del mondo anche se si vinceva raramente, mai alla Coppa del Mondo, ad esempio. Ho cercato di infilarmi nei cuori di quei ragazzi meravigliosi che non hanno mai ceduto davanti all’ovvietà della sconfitta, nella testa dell’allenatore che vedeva realizzarsi, azione dopo azione, il suo piano perfetto. Una soddisfazione così, ne sono sicuro, basta non solo a ripagare tutti i pesanti sacrifici di questi mesi di preparazione, ma anche a darti un punto di forza a cui attingere per tutta la vita. Ero ancora, come loro, sotto choc, quando in sala stampa un giornalista italiano (ho qui il suo biglietto, Paolo Ricci Bitti, del Messaggero di Roma, che mi ha porto con un leggero inchino, si vede che gli hanno detto come si usa da noi e ne sono stato piacevolmente sorpreso) mi ha fatto tante domande: la più curiosa è stata quella sul modo di festeggiare dei giocatori la meta decisiva. Sì, lo so che puntare semplicemente l’indice verso il cielo sembra assai mano travolgente che abbracciarsi e sbracciarsi come fanno nelle altre squadre in queste occasioni (questa poi, così eccezionale) , ma da noi viene considerato poco opportuno esagerare nelle manifestazioni pubbliche di felicità così come in quelle di tristezza: lo dice anche il poeta inglese Kipling. E poi quel giornalista mi ha detto anche che lui non potrà mai raccontare una vittoria come la nostra. Beh, non lo so, ho cercato di consolarlo: nemmeno noi avremmo mai creduto in questo successo.

Gli ho anche detto che evidentemente il lavoro e la programmazione della nostra federazione evidentemente danno frutti: del resto già con un allenatore come John Kirwan, che prima aveva allenato proprio l’Italia, era iniziato il lavoro di ristrutturazione degli staff tecnici e organizzativi del nostro rugby. Poi non sono arrivate subito vittorie così importanti, ma intanto le fondamenta erano state consolidate e si poteva passare al resto dell’edificio. Adesso tutto funziona, dalle squadre giovanili ai club sostenuti dalle grandi aziende, per spingere i talenti migliori verso la nazionale: c’è una grande collaborazione, non è solo questione di risorse, ma di condivisione di un progetto. E poi c’è l’allenatore Eddie Jones, bravissimo, che conosce bene gli avversari come il Sud Africa: nel 2007, anno in cui sono ridiventati campioni del mondo, era l’allenatore della mischia dei Boks. E conosce bene il nostro modo di agire e pensare: sua madre è giapponese. E’ stato anche molto attento nell’inserire giocatori nati in altri paesi come le isole del Pacifico e la Nuova Zelanda. Tutto è avvenuto con equilibrio, con reciproche attenzioni alle proprie personalità e abitudini. Siamo un popolo, possiamo dire una squadra, che tiene molto al prestigio del proprio paese, mettiamo molto orgoglio in tutto ciò che facciamo e cerchiamo di non abbatterci nelle difficoltà, perlomeno di non farlo vedere. Se poi notate, nelle prime pagine dei nostri quotidiani e nelle nostre telecronache c’è sempre grande rispetto per l’avversario: è la sua grandezza, e gli Springboks sono enormi, a dare merito alle vittorie. Ci ha fatto molto piacere l’interesse del premier Abe e poi ricordate che il presidente della nostra federazione è l’ex primo ministro Mori, che a rugby ha giocato a buon livello e che sta lavorando per la prossima Coppa del Mondo che nel 2019 ospiteremo in Giappone. Ci è poi molto piaciuto l’entusiasmo dei tifosi delle altre nazioni. E poi che carini quelli dell’hotel di Brighton in cui alloggia la squadra: hanno srotolato il tappeto rosso e hanno fatto un corridoio per applaudire. Beh, ci volete credere: già nella stessa serata della vittoria il ct Jones ha detto di voltare pagina e di pensare al prossimo match con la Scozia (mercoledì 23 settembre a Gloucester alle 15.30). Speriamo di trovare, comunque vada, le parole.

Masaaki Sakata Telecronista della tv giapponese, dopo la clamorosa vittoria del Giappone sul Sud Africa ai Mondiali del 2015 in Inghilterra: il più grande risultato a sorpresa nella storia del rugby. Dal 1996 al 2003 è stato tallonatore della nazionale (30 caps).

Paolo Ricci Bitti

© RIPRODUZIONE RISERVATA