Quest'America
di Anna Guaita

 Computer ed emozioni

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Sabato 13 Settembre 2014, 04:38
  Nell’aprile del 2010, quando la Apple mise in commercio il primo iPad, un giornalista chiese a Steve Jobs cosa ne pensavano i suoi figli. E lui rispose: “Non l’hanno mai usato. Limitiamo molto l’uso di tecnologia a casa da parte dei nostri figli”. L’anno seguente, il New York Times rivelò che l’elite di Silicon Valley mandava i figli alla “Waldorf School”. I manager di Google, Yahoo, Apple, Hewlett-Packard preferivano cioé una scuola che non permette l’uso di computer prima dei dodici anni e dopo quell’età ne ammette l’utilizzo solo per ricerche relative a progetti scolastici. In questi giorni, una scuola della stessa catena ha aperto i battenti a Seattle, e guarda un po’, anche i capi di Microsoft, di Amgen (biotecnologia), Boeing (aerei) ci hanno iscritto i propri figli. Tutte queste informazioni mi sono tornate alla mente leggendo un articolo su Newsweek (per nostra fortuna questa rivista è tornata in vita, dopo una lunga crisi che ne aveva causato la chiusura): un esperimento condotto dalla Ucla (University of California at Los Angeles) dimostra che i ragazzi che passano meno tempo impegnati in attività tecnologiche sono più capaci di mettersi in relazione con i compagni e di creare amicizie che dureranno nel tempo. L’esperimento ha usato due diversi campioni di giovani: 54 che sono andati per una settimana a fare campeggio, senza nessuno strumento tecnologico con loro, né il cellulare, né l’iPad né il laptop, né la tv. Altri 54 hanno invece continuato la loro vita solita, fra smartphone, sms, internet surfing. Prima dell’inizio dell’esperimento, i due campioni sono stati sottoposti a una serie di test nei quali dovevano individuare i sentimenti espressi da volti di persone comuni e di attori in foto e video senza sonoro. Alla fine della settimana, i due campioni hanno ripetuto il test, ed è risultato che i ragazzi che avevano accantonato i vari strumenti high tech, compivano molti meno errori di prima nel riconoscere le emozioni sui volti che venivano loro mostrati. Secondo la psicologa Patricia Greenfield, questa accresciuta sensibilità si deve al fatto che i ragazzi in campeggio avevano passato molto tempo insieme, giocato, chiacchierato, fatto sport, pranzato e cenato faccia a faccia. Saper leggere le emozioni degli altri è fondamentale per avere una vita ricca di affetti, di amicizie e di amore, spiegano gli psicologi. Difatti, gli autori dello studio (che comparirà sul numero di ottobre della rivista specializzata “Computers in Human Behavior”) sottolineano che sin dai primi giorni di vita «i bambini fissano i volti che li circondano», cioé cercano di capire chi è amico, «e imparano a capire di chi si possono fidare». Tutte le scuole d’America stanno aumentando i laboratori high-tech e le ore dedicate a imparare le nuove tecnologie, e tutti i genitori sono preoccupati di dare ai loro figli gli strumenti perché siano al passo con il progresso. Tuttavia, anche il numero di Waldorf School nel Paese va aumentando. E sono proprio i genitori più ricchi, più istruiti e in carriere scientifiche avanzate a mandarci i propri figli. Scuole di questa catena, che si ispira all’approccio pedagogico del filosofo austriaco Rudolph Steiner, esistono a centinaia anche in Europa. Il metodo Steiner – cito da Wikipedia – si pone come ideale «di educare in modo armonico le facoltà cognitivo-intellettuali (pensiero), quelle creativo-artistiche (sentimento) e quelle pratico-artigianali (volontà) dell'allievo. Questo ideale comporta un'offerta formativa ampia nell'ambito delle materie artistiche ed artigianali, e non è dunque improntata principalmente sull'aspetto cognitivo-intellettuale dell'apprendimento. Ogni lezione dovrebbe offrire elementi artistici, espressivi. Di fatto la pedagogia stessa viene concepita da Steiner come "arte dell'educazione"». Non voglio entrare in temi di cui non sono esperta e mi fermo qui. Ma certo una domanda è di rigore: se i manager delle più importanti aziende tecnologiche del mondo scelgono una scuola in cui i loro figli studiano e si formano usando i computer solo dai 12 anni in poi e comunque limitatamente, qualche buona ragione la devono avere. E forse lo studio della Ucla ce ne fa intravedere una di disarmante semplicità: ridurre il consumo high-tech nell’età evolutiva a vantaggio di una maggior socializzazione vuol dire rafforzare la capacità di vivere e condividere le emozioni. E’ vero, sembra un po’ la scoperta dell’acqua calda. Tuttavia, di quando in quando riscoprire l’acqua calda non è affatto stupido. Soprattutto quando la realtà è questa: negli Usa, i ragazzi al di sotto dei 17 anni (che non vanno alle Waldorf School) trascorrono sette ore e mezzo al giorno incollati agli smartphone, ai computers e alle tv, e siccome fanno multitasking, cioé usano più di uno strumento alla volta contemporaneamente, in quelle sette ore e mezzo ci sono in realtà undici ore lineari di consumo. Undici ore di vita al giorno attaccati alla realtà virtuale, anzichè alla realtà in carne ed ossa.
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