Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

Mi sono innamorato di te, sempre di più

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Lunedì 18 Agosto 2014, 18:33
Non fosse stato per il confronto impietoso, avrei sospeso almeno per un po’ la continua dichiarazione d’amore per il rugby femminile, capace di far perdere la testa più del canto delle sirene. BATTAGLIE Invece sabato è andata in onda la prima giornata del Quattro Nazioni: Australia-Nuova Zelanda e Sud Africa-Argentina, urca. Roba fortissima, anche perché ballava un evento storico, il record delle 18 vittorie consecutive che potevano conquistare gli All Blacks, diventando così la squadra più forte di tutti i tempi. Chissà che battaglie, allora, in arrivo dall’emisfero sud. Macché, una lagna quei due match e non certo perché c’è scappata solo una meta: anche uno zero a zero può essere magnifico. Ma il 12-12 (tutti calci) tra Aussies e Campioni del mondo è stato proprio sciapo, All Blacks persino opachi, indisciplinati (due gialli!). E addio record. E non basta la pioggia, anzi, il monsone, che ha allagato in gran parte la prateria degli Springboks, a giustificare i sudafricani, incapaci di staccarsi dai garretti gli artigli dei Pumas, sconfitti solo 13-6. Noia: ecco il riassunto complessivo di quei due match, perché solo il risultato in bilico fino alla fine non è bastato a compensare le attese. Vabbeh, capita anche nelle migliori famiglie. SCIOVINISTI Per fortuna degli spettatori vecchi e nuovi del rugby e per sfortuna dei maschi sciovinisti in genere, 24 ore dopo le battaglie a polveri bagnate di Pretoria e Sydney sono arrivati i fuochi d’artificio di Parigi, teatro ancora una volta di una rivoluzione. Niente sarà più come prima, dopo questi Mondiali che hanno aperto gli occhi sulla grande bellezza del rugby femminile, ovvero, più che sul rugby giocato dalle donne, sul rugby giocato con la prevalenza di cervello e tecnica (altissima tecnica) rispetto a quello spesso troppo muscolare e involuto dei maschi iperprofessionisti, così occupati a sfondare muri invece che a tentare di aggirarli. Finalina per il terzo posto e finale allo stadio Jean Bouin sono state meravigliose come lo erano state gran parte delle partite della fase preliminare, segnate dall’exploit dell’Irlanda che ha sbattuto fuori la Nuova Zelanda, arcifavorita e vincitrice delle ultime tre edizioni. Ricordato che queste ragazze sono atlete dilettanti in quanto a stipendio e professioniste per impegno e passione, oltre che per la tecnica, ciò che ha contagiato adepti e profani del rugby è stata la loro capacità di unire la determinazione (sennò non è rugby) in campo alla leggerezza nell’affrontare vittorie e sconfitte, come si è visto anche nei dopo-partita di Francia-Irlanda (25-18) e Inghilterra-Irlanda (21-9). REGGISENI IMBOTTITI Sì, per un po’ occhi lucidi di felicità o di tristezza, perché sotto quei reggiseni imbottiti (mica poi tanto diversi dalle “corazze” di schiuma di lattice che portano i maschi) battono cuori appassionati. Ma poi subito di nuovo sorrisi, abbracci tra compagne e avversarie. Vincenti o sconfitte, quelle ragazze hanno reso l’idea di cosa significhi fare sport, divertendosi un sacco, girando il mondo, accettando con serenità quello che viene dopo aver dato tutto in campo. La capitana del Canada, Kelly Russell, ha detto che le dispiaceva per il ko, che le inglesi avevano meritato la vittoria, ma che, soprattutto, il gruppo-famiglia che si era costituito nell’ultimo anno tra le giocatrici e lo staff rappresentava la conquista più forte dell’avventura mondiale. E la capitana inglese, Katy McLean ha ringraziato le giocatrici e gli staff delle nazionali che negli ultimi tre mondiali avevano sempre perso la finale, sempre contro le neozelandesi: “Oggi abbiamo vinto per loro e grazie a loro, a quanto quelle giocatrici leggendarie hanno costruito negli anni”. Tra queste leggende c’è Maggie Alphonsi, domenica all’addio, già nominata Mbe (Member of the Order of the British Empire) dalla Regina Elisabetta. FRECCIA Dopo l’entusiasmo contagioso per il gioco, anche la cerimonia per la premiazione ha trasmesso allegria pure quando venivano inquadrate le canadesi, con la stella Magali Harvey che non se la tirava neppure un po’ anche se era appena stata premiata dall’Irb quale giocatrice dell’anno. Oltre alle sue millanta doti, questa ragazza-freccia, un po’ Shane Williams, un po’ Halfpenny, che ha mancato di un soffio un intercetto che avrebbe cambiato il match e che ha trasformato un penalty difficile pure per Wilkinson, ha esibito anche una modestia da prendere a esempio. E in tutte le foto ufficiali della premiazione il tallonatore inglese Emma Crocker ha tenuto sulle spalle il figlio di tre anni: un uomo non l’avrebbe mai fatto. MAGALI AND EMILY Gli ultimi due match, poi, non hanno tradito le attese, a differenza di quelli dei maschi del giorno prima. Per dirne una, la Francia stava vincendo 20-18 quando stava per suonare la sirena: con grande lucidità e mestiere, ha allora iniziato a concatenare pick and go, ma al suono della sirena non ha calciato la palla fuori come avrebbero fatto anche gli All Blacks, ma ha aperto la palla segnando una meta da urlo. E le inglesi, poderose e spesso pragmatiche come i maschi della Rosa, hanno dovuto dannarsi l’anima per arginare le canadesi che attaccavano da ogni dove cercando di lanciare la Harvey, sottoposta a una marcatura simile a quella orchestrata dagli Springboks nella finale del 1995 per ingabbiare Lomu. La potente grazia con cui calcia dalla piazzola e buca le difese il centro Emily Scarrett è un’altra gemma indimenticabile di questi mondiali. Se vogliamo che il rugby esca dalle sue secolari, magnifiche ma pochissime roccaforti, il futuro dev’essere quello scritto dalle donne. @paoloriccibitti
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