Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

Il Brasile, Fantozzi e gli All Blacks

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Mercoledì 9 Luglio 2014, 19:30
«Giravano voci incontrollate pazzesche: si diceva che l’Italia stava vincendo per 20 a zero e che aveva segnato anche Zoff di testa su calcio d’angolo».  Martedì, ore 22, serata fresca, ideale per lo spettacolo “Il Foro di Augusto 2000 anni dopo”: è il capolavoro strabiliante di Piero Angela e Paco Lanciano allestito appunto ai Fori che da solo vale un viaggio a Roma, da Oscar per la divulgazione, da togliere il fiato per l’emozione di vedere e sentire rinascere le meraviglie imperiali nello stesso luogo in cui le aveva volute Augusto. Ma alle 22 di martedì c’era anche Brasile-Germania (ecco, forse, perché era stato più facile del previsto trovare posto all’ultimo momento) e qualcuno doveva aver piazzato un maxischermo verso piazza Venezia: in attesa di accomodarsi sulle tribune, prima di viaggiare nel tempo grazie alle cuffie che isolano perfettamente dai rumori esterni, si sentivano rimbombare i cori dei gruppi di turisti brasiliani e tedeschi pronti alla sfida. Grazie alle cuffie quei canti erano destinati ben presto a scomparire, ma poi una fioca lucina verde nel buio ha attirato l’attenzione degli spettatori più vicini sulla gradinata. Non c’era stato bisogno di ingannare la perquisizione personale riservata ai ragionieri Fantozzi e Filini durante l’ennesima proiezione della Corazzata Kotiomkin che li aveva privati di Inghilterra-Italia a Wembley: no, nessun controllo all’ingresso e così il bagliore del piccolo schermo dello smartphone di quel quarantenne distinto, con signora a fianco e soprattutto con auricolari inseriti sotto le stesse cuffie fornite dal personale dello spettacolo, dirottava il viaggio dalla Roma di 2000 anni fa allo stadio Mineirao di Belo Horizonte. Da una parte si ammirava com'era la vita nei Fori come solo Angela e Lanciano sanno ricreare, dall’altra si notava il pur discreto agitarsi di quel signore chino sul telefonino più che sui resti del tempio di Augusto. Sei mesi servivano per scolpire uno di quei mastodontici capitelli corinzi e la statua dell’imperatore era alta 11 metri, sì, ma che starà capitando in Brasile? Perché quel tipo con lo smartphone allarga a ripetizione le braccia, avvicina e riavvicina lo schermo come se non vedesse bene, si sistema gli auricolari sotto le cuffie? Vincerà il Brasile, come previsto, o la Germania starà dando filo da torcere? Lo spettacolo – emozionante, da brividi - dura poco più di un tempo, scusate, 45 minuti e in tribuna non sono certo girate “voci incontrollate pazzesche”, ma all’uscita una, poi due, tre persone non hanno resistito e hanno avvicinato il tipo con lo smartphone: allora, chi vince? “La Germania: 5 a zero!”. Su, non è vero, non ci prenda in giro. “No, lo giuro: 5 a zero, ha segnato anche Klose”. No, dai, non è possibile. E in realtà da piazza Venezia non si sentiva più alcun coro. Silenzio. Strano, perché stava per iniziare la ripresa. In tanti hanno allora freneticamente iniziato a pigiare sui loro telefonini scoprendo che durante il nostro viaggio ai tempi di Augusto anche Germania e Brasile avevano, a loro modo, navigato nella Storia.  P.S. In vista della finale, in cui il Brasile doveva per forza esserci, volevo scrivere un parallelo appunto tra il calcio del Brasile e il rugby degli All Blacks, ispirato da un illuminato intervento di Pierre Berbizier sull'Equipe Mag che una volta si era trovato a tu per tu con Socrates: a sorpresa il dottore (o “Tacco di Dio”, fate voi) gli aveva chiesto notizie non banali sugli All Blacks. E di lì era partita la dissertazione in particolare sull'estetica e l'efficacia dei gesti sportivi con citazioni di Pelè e Lomu: bellissimo. Maledetta Germania.
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