Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

Il volo della mano mozzata e il Giorno della Marmotta

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Mercoledì 5 Marzo 2014, 15:10
C'era un volta il soldato irlandese Hugh O'Neill e, no, non giocava a rugby. Dalle parti del Medio Evo il soldato O'Neill venne chiamato, insieme a un suo compagno di battaglia, da un marchese di Dublino: «Siete stati valorosi in guerra e voglio ricompensarvi - disse loro il nobile - Vedete quel mio terreno laggiù? Il primo che lo tocca ne diventerà il padrone». Sì, vinse O'Neill, ma non perché fosse il più veloce con le gambe: era invece abilissimo con la spada. Si tagliò con un fendente la mano sinistra e la gettò sul terreno verso il quale correva il rivale. E' di O'Neill la mano rossa ricamata da 165 anni sulla maglia bianca della squadra di rugby della contea dell'Ulster. Sono fatti così, gli irlandesi che sabato attendono gli azzurri in quella meraviglia affacciata sulla città che è  il nuovo Lansdowne Road, riuscito nell'incredibile impresa di non far rimpiangere il commovente stadio che fino a tre stagioni fa tremava come un budino al passaggio del treno sotto la tribuna principale. E le gradinate erano così a picco sul prato che in quel momento temevi di precipitare sulla testa di O'Driscoll o, peggio ancora, di O'Connell. Non è la prima volta che mi viene voglia di scrivere la storia del soldato O'Neill, che mi è sempre piaciuta un sacco, ma ormai deve essere preso atto che il Sei Nazioni porta alla strana e dolce sensazione del Giorno della Marmotta: è un film americano, poi rifatto anche da Antonio Albanese, strano e dolce anche lui in molti dei suoi personaggi. E' la storia di quel tipo che ogni mattina si sveglia come se fosse il suo primo giorno da adulto. E deve imparare di nuovo tutto ciò che riguarda la sua vita. La mattina dopo, replica. Con il Sei Nazioni è la stessa cosa ogni anno da 15 anni. Strano, ma vero: in attesa di qualche rara vittoria sul campo, l'entusiasmo per il Torneo continua a crescere portando attorno agli azzurri sempre nuovi appassionati. Prima di Italia-Scozia l'inno di Mameli è stato cantato sbilenco, una strofa sopra l'altra, segno che all'Olimpico c'erano parecchie migliaia di neofiti. Lo si capisce anche dalle reazioni ai fischi dell'arbitro. E sarà lo stesso sabato 15 marzo con l'Inghilterra, conl'Olimpico già esaurito da 72.800 tifosi e almeno altri 20mila in arrivo anche senza biglietto per godersi la giornata nel villaggio del Foro Italico. Una bella fetta di loro non aspetta che di bersi, oltre a una birra, la storia del cucchiaio di legno, del soldato O'Neill, del pilone che vive l'Inferno in terra, delle cornamuse e dei kilt, del caprone che precede la banda prima dei match del Galles, di Dio che non può vedere le partite se gli chiudono sotto la barba bianca il tetto del Millennium. Sì, ma poi abbiamo perso male contro la Scozia. “Vebbeh, vabbeh - dicono gli ultimi arrivati sorridenti dopo aver passato la giornata all'Olimpico che ancora mi resta di traverso – ci sarà tempo per vincere. Com'è quella storia degli scozzesi che hanno inventato in rugby a 7 perché non c'era tempo per giocare in 15? E perché bisogna passare la palla solo all'indietro? E' vero che i soldati inglesi e i neozelandesi hanno giocato a rugby tra una battaglia e l'altra per liberare l'Italia? Ma che succede sotto la mischia?”. Allora avanti con il Giorno della Marmotta: il rugby è l'unico sport che da sempre prevede una sola nazionale per tutta l'isola, cattolici e protestanti insieme, e degli irlandesi, oltre al  ghigno di O'Connell che farebbe scappare anche Hulk, va temuto il Fighting Spirit. I verdi giocano sempre come indemoniati e sono temuti anche dagli All Blacks che pure con loro hanno sempre salvato le penne (per un mezzo capello, lo scorso novembre). L'orgoglio di rappresentare tutta l'isola smeraldo esalta i giocatori che hanno raggiunto la nazionale dopo una selezione durissima basata sugli scontri fratricidi tra le quattro contee in cui è divisa l'Irlanda, tutta l'Irlanda ovale. Brian O'Driscoll non ha avuto bisogno di tagliarsi una mano per essere chiamato in nazionale, ma quasi. Prima ha dovuto fare fuori la concorrenza micidiale di decine di irlandesi che giocavano ad alto livello nel suo ruolo. E una volta diventato titolare non si è più potuto distrarre un secondo negli ultimi 12 anni: dietro di lui c'era e c'è un mucchio di irlandesi pronti a fargli la festa. In bocca al lupo, azzurri.
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