Quest'America
di Anna Guaita

 Florida: La Fabbrica dei Cattivi

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Domenica 16 Febbraio 2014, 00:54
 

     Costretta a letto per oltre una settimana, mi sono ritrovata a seguire il processo in Florida contro Michael Dunn, un bianco accusato di aver ucciso il diciassettenne di colore Jordan Davis. Dunn aveva strillato contro quattro giovani in auto per la musica troppo forte e poi aveva sparato loro addosso: sosteneva di averlo fatto per legittima difesa, perché credeva che Davis stesse puntandogli addosso un'arma. Il caso assomiglia molto a quello del vigilante George Zimmerman, che uccise il giovane Trayvon Martin avendolo scambiato per un criminale.

     La Florida insomma mi torna prepotentemente in mente. Ripenso al caso di Enrico “Chico” Forti, un italiano detenuto nello “Stato del Sole” perché riconosciuto colpevole di un omicidio di cui continua a dichiararsi innocente con tanta passione che ha raccolto anche un folto gruppo di sostenitori e difensori che vorrebbero che il suo caso venisse riaperto.

Ed è stato proprio mentre rimasticavo amaro per le inquietanti cronache criminali della Florida che mi sono decisa ad aprire un libro che mi era stato caldamente raccomandato da una collega: “La Fabbrica dei Cattivi”, di Diego Agostini (Giunti, 2013). E sin dalle primissime pagine ho capito perché mi era stato raccomandato. Raramente mi sono ritrovata a partecipare alla narrazione al punto di soffrire mente e cuore, pagina dopo pagina, riga dopo riga insieme all’autore. Si tratta della storia di una coppia di italiani che finiscono nei guai con la polizia, la legge, i tribunali.... dove? In Florida ovviamente. Per un banale errore, vengono scambiati per dei veri criminali che hanno maltrattato i propri figli e che si meritano la prigione. O meglio: non vengono “scambiati”, è la polizia che fa in modo che fatti e testimonianze siano stravolti in modo che appaiano tali. Difatti alla fine di un lungo, penosissimo, travagliato cammino tutte le imputazioni verranno fatte cadere: «Non c’è nulla per cui si possa procedere» si sentiranno dire, mesi dopo.

     Non vorrei farvi credere che si tratti di un semplice giallo. Nelle pagine di Agostini c’è palpabile la lezione di Franz Kafka: la situazione surreale ci viene raccontata con precisione ossessivamente realistica. Agostini è laureato in psicologia e ha un’esperienza di molti anni come specialista di formazione manageriale. E’ stato anche incaricato della sezione risorse umane per conto di grandi aziende. Insomma, è uno che la natura umana la conosce. E il libro è questo: un’analisi spassionata delle proprie reazioni man mano che ingiustizia si assomma a ingiustizia, e un’analisi fredda e lucida del comportamento di coloro che la giustizia dovrebber difenderla e invece la pervertono e la deformano per poter far sì che le “prove” corrispondano alla loro teoria di partenza.

     Alex e la moglie Mara vengono acchiappiati in questa tela del ragno, i loro bambini vengono dati in affidamento temporaneo, le loro facce stanche e sofferenti vengono immortalate in foto segnaletiche che poi nel web metteranno radici a perpetuare la loro nuova “persona” di criminali incalliti. Vengono ammanettati, vestiti nella divisa arancione dei prigionieri, separati, interrogati aggressivamente nel tentativo di metterli l’uno contro l’altro, mescolati ai criminali comuni che li minacciano. Nessuno risponde alle loro domande, se non qualche anima compassionevole, che però passa loro qualche bisbigliato suggerimento di nascosto, temendo di essere beccato dai superiori. Un incubo, un orrore, una vicenda che una volta sarebbe stata bollata “da terzo mondo”. E tutto viene causato dal fatto che hanno parcheggiato brevemente davanti a un grande magazzino per comprare una maglietta asciutta dopo un temporale, e hanno lasciato la bambina addormentata in auto per pochi minuti da sola. 

     Ma nella ricostruzione dei testimoni e della polizia c’erano 33 gradi, e la bambina era stata “abbandonata” per un’ora. E la legge parla chiaro: si tratta di “abbandono di minorenne”, un crimine perverso. Solo mesi dopo, con il lavoro paziente di due avvocati, la verità viene a galla: polizia e testimoni sono sbugiardati sonoramente dai dati comunicati dalle stazioni meterologiche e dai video delle telecamere di sicurezza  C'erano solo 20 gradi, il cielo era nuvoloso, faceva quasi fresco. E Giulia è rimasta sola per meno di  otto minuti.  

   Durante tutta questa discesa all’inferno, Alex e Mara rimangono leali l’uno verso l’altro, sostenuti dal loro amore e dall’amore per i bambini. Cercano di dominare le proprie paure, di avere fiducia nel Paese che hanno «sempre considerato il Paese della simpatia e della libertà».  Sono una lezione di umanità e pulizia per tutti. Ma il libro deve rimanere anche come un ammonimento per una società, quella americana, dove dall’epoca degli attentati del 2001, la polizia è diventata sempre più “militarizzata” e potente.

     Nel 2004, seguendo le manifestazioni di protesta qui a New York durante la Convention del partito repubblicano che riconfermò la candidatura di George Bush, mi avvicinai troppo a dei poliziotti che stavano arrestando dei ragazzi. Volevo chiedere di cosa erano accusati. Nonostante il mio badge di giornalista, fui apertamente minacciata: “Se fai un altro passo ti arresto!” Per la rabbia stavo per protestare e gridare. Poi mi risuonarono nella mente le parole di un amico avvocato: «Fa’ quello che la polizia ti dice di fare, non protestare, non litigare, non gridare». Ma Alex e Mara lo hanno fatto: non hanno mai detto una bugia, non hanno protestato, hanno obbedito educatamente, fiduciosi. E vero che alla fine la loro onestà ha ottenuto giustizia. Ma solo dopo aver visto in faccia la disperazione.

     Cosa è successo al momento dell’arresto in quel parcheggio? Sono diventati pedine spersonalizzate della “fabbrica dei cattivi”. E lascio che siano le parole stesse di Agostini a spiegarvi cosa sia questa fabbrica, e a invitarvi a riflettere sul significato di questa etichetta:

     «Ed è proprio in questo preciso istante, mentre marciamo incatenati in uno di questi corridoi, che nella mia mente i neuroni e le sinapsi sembrano attivarsi tutti insieme, come se avessi un’illuminazione. Una di quelle sensazioni in cui ci si imbatte poche volte nella vita.
Il meccanismo, gli ingranaggi grandi, piccoli e infinitesimali che lo compongono e lo mantengono in funzione, la perfezione che scandisce ogni fase, il fanatico rispetto del rituale – non solo hanno un significato ma devono essere il preciso progetto di qualcuno. Il progetto di qualcuno, ipotizzo per assurdo, che fa un lavoro come ilmio. Un mio alter ego che opera su una dimensione diversa, drammaticamente più ampia. Quello in cui mi trovo è infatti un vero e proprio stabilimento, non diverso da quello dell’azienda per cui lavoro. E io, quando controllo le fasi di lavorazione dei miei prodotti, mi accerto che ognuna aggiunga del valore rispetto alla precedente. Così, allo stesso modo, anche qui viene aggiunto valore a ogni passo del processo, solo che io ne faccio parte come oggetto, un oggetto inserito nella linea di produzione. Perché questo non è solo un carcere e io non sto solo per essere trasferito da un punto all’altro di un edificio. Sono all’interno di una fabbrica. Sono nel cuore pulsante del luogo dove, in base alle scelte del product manager occulto, si fabbricano i cattivi.
Sì, qui nascono i cattivi. E io sono la materia grezza ancora in fase di lavorazione».

     E più avanti, quando le loro foto segnaletiche esplodono su internet: «Sì, devo ammettere che sono davvero bravi. Il mio alter ego immaginario, il product manager occulto ha davvero fatto le cose per bene. Ideazione, sviluppo e lancio sul mercato. Dopotutto la fabbrica dei cattivi non può non avere il suo ufficio marketing e pubblicità.....Quale credibilità può avere un professionista quando il suo volto è quello patibolare di una foto segnaletica? In queste condizioni uno che esce di prigione, anche se poi riuscirà a dimostrare la propria innocenza, troverà lavoro più facilmente nel mondo del crimine. E così il processo di fabbricazione del cattivo sarà finalmente concluso».
                                                                                                                                

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