Rugby Side
di Paolo Ricci Bitti

Cucchiai, coppe e facce da funerale

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Lunedì 27 Gennaio 2014, 16:40 - Ultimo aggiornamento: 10 Ottobre, 12:23
Quelle due facce da funerale di Matt Dawson e di Martin Johnson mentre reggevano imbarazzati la coppa dei Sei Nazioni sono la dimostrazione solare dell'effetto boomerang della classifica a differenza punti fatti/subiti introdotta dal 1993 nel Torneo che per 110 anni ne aveva fatto assolutamente a meno.

E sono anche la conferma che assegnare il cucchiaio di legno in base allo stesso sistema rappresenta un controsenso. Vale più una tradizione impregnata di leggende che conta su oltre un secolo di storia  oppure un’idea gradita solo da 21 anni dall'allora sponsor che ha innescato appunto tragicommedie tipo quella del 20 ottobre 2001 a Lansdowne Road?

Dunque, ultimo turno del Sei Nazioni che quell’anno aveva visto tre match slittare in autunno per limitare in inverno i contatti tra le due sponde del canale di San Giorgio durante un’epidemia influenza ovina. L’Inghilterra è senza il capitano Martin Johnson (mano rotta) ed è guidata da Matt Dawson, numero 10 è Jonny Wilkinson: ha già 8 punti in classifica e punta al Grand Slam. Di fatto ha già vinto il Torneo perché vanta una mostruosa differenza punti fatti/subiti di più 155 (grazie anche agli 80 rifilati quell’anno all’Italia). L’Irlanda è a quota sei punti in classifica con un attivo di appena 34. Da una parte si lotta insomma per il Grand Slam, dall’altra per l’onore di battere i nemici di sempre e di guastare i loro sogni di en plein. Obbiettivi-trofei meravigliosi perché appunto impalbabili, altro che caffettiere argentee zeppe di nastri griffati.

In campo (trovate facilmente il match su Youtube con la voce strapparicordi di Bill McLaren) finisce alla rovescia del pronostico: 20-14 per gli irlandesi di Wood e O’Driscoll. Viene giù Lansdowne Road dalla felicità. Beh, dal fischio finale in poi la tragicommedia è da Oscar: i giocatori irlandesi sono fuori di testa per la gioia, gli inglesi guardano per terra, distrutti. Il più tetro è Martin Johnson, in tuta grigia, che aveva seguito da bordocampo i compagni.

“Non è un momento facile per loro” dice Bill McLaren. E già, perché adesso quegli inglesi dal morale sotto i tacchi dovranno sfilare davanti alla Coppa del Sei Nazioni fino all’arrivo del capitano Matt Dawson che sarà costretto a esultare alzandola al cielo. Che diamine, c’è o no da celebrare la vittoria del Torneo? C’è o no da officiare quel rito artificiale voluto dallo sponsor? Epperò di questa vittoria ai punti fatti/subiti agli inglesi non gliene frega nulla. Così Dawson e Johnson ricevono la Coppa, la tengono a mezz’asta, mai più alta del petto, giusto il tempo di fare le foto di rito. Johnson neppure prova a fare un sorriso di circostanza, se potesse quella coppa la accartoccerebbe come una lattina con quelle manone da Frankenstein. Dawson prova ad allargare le labbra, ma il risultato è piuttosto da paresi facciale. Mai visto giocatori che hanno vinto un Torneo uscire dal campo con quelle facce da funerale.

Senza questa pantomina, in passato gli irlandesi avrebbero celebrato con la stessa foga la vittoria ex aequo del Torneo (e soprattutto il ko degli arcirivali) mentre almeno agli inglesi sarebbe stata risparmiata quella ipocrita passerella in favore di telecamere e di sponsor. I bianchi sarebbero filati subito a fare la doccia e dopo, davanti a una birra, avrebbero comunque potuto dimenticare che il Grand Slam era volato via, ma che almeno una vittoria sarebbe restata negli annali anche se ex aequo, così come era serenamente capitato per i primi 110 anni del Torneo.


I trofei del Torneo tra realtà e leggenda


 
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