Yassine Rachik ha 22 anni. È nato in Marocco ma vive in Italia dall’età di 11 anni. Qui è cresciuto e ha studiato, a Castelli Calepio nel bergamasco. E qui è diventato un atleta capace di vincere 25 titoli nazionali nel fondo, su pista e su strada, grazie a una norma della Federazione Italiana di Atletica Leggera che gli ha concesso lo status di “italiano equiparato”.
L’escamotage, in assenza di un’effettiva cittadinanza italiana, non era però sufficiente a farlo correre nella squadra nazionale impegnata, a fine giugno di quest’anno, nei campionati europei under 23 di atletica.
Sfruttando la visibilità mediatica di Yassine e il paradosso dell’essere “campione nazionale ma non cittadino italiano”, Chaouki ha trasformato la sua storia in un simbolo. La petizione a sostegno del giovane ha raggiunto in pochissime ore le 21.000 sottoscrizioni, e a maggio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato la cittadinanza per Yassine Rachik.
Una decisione che poche settimane più tardi è valsa a lui, e all’Italia, la medaglia di bronzo nei 10.000 metri a Tallinn in Estonia.
Ma Yassine non ha dimenticato le difficoltà incontrate sulla sua strada e ha deciso di scendere in pista non per un’altra medaglia (o non solo per quello), ma per tutti quei ragazzi che nascono in Italia da genitori stranieri, crescono, studiano e imparano ad amare il nostro paese come loro patria, ma sono ancora considerati stranieri.
“Sono stato fiero e felice di poter gareggiare per l’Italia” – ha scritto Yassine, nella sua petizione al Senato condivisa su change.org – Sono cresciuto in questo Paese e qui ho studiato. Quando ho vinto ho abbracciato la bandiera e ho ringraziato chi mi ha aiutato, credendo in me e permettendo che il mio sogno si avverasse”. Secondo il giovane, la legge attualmente in discussione - che introduce un “temperato” ius soli” e, soprattutto lo “ius culturae” (l’aver frequentato per almeno cinque anni, uno o più cicli di istruzione nel nostro paese) – è “un traguardo importantissimo. E per questo è fondamentale che il provvedimento vada avanti e diventi presto legge. Se sarà approvato, verrà finalmente superata una legge datata, la stessa a causa della quale ho rischiato di non poter rappresentare l’Italia, il mio Paese, ai Campionati europei”.
Da “nuovo italiano” – e probabilmente consigliato da chi ne ha fatto, ormai da tempo, un simbolo - il giovane Rachick ha imparato a esercitare il suo diritto di cittadinanza a tutti gli effetti, sentendosi parte attiva di questo Paese e facendo sentire la propria voce. La voce di chi si sente italiano, vuole (e può) dare lustro all’Italia ma deve ancora attendere.