I diabolici scrittori misconosciuti della nostra letteratura

I diabolici scrittori misconosciuti della nostra letteratura
di Luca Ricci
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Mercoledì 2 Settembre 2015, 13:27 - Ultimo aggiornamento: 5 Settembre, 13:13
Francesco Permunian, Franz Krauspenhaar, Giacomo Sartori, Rocco Brindisi, Sergio Nelli. Se com’è probabile questa sfilza di nomi non vi dice niente, sappiate che vi ho appena fatto l’elenco di alcuni tra i più interessanti scrittori italiani viventi. E sono, per l’appunto, sconosciuti.



Mi piace pensare a loro- e tanti altri me ne dimentico- come ai diabolici della nostra letteratura, cani sciolti, senza tessere o protezioni, fuori dai giri, ostinatamente proni a un unico dio: l’autonomia intellettuale. Forse ottusi, mentecatti, per qualche verso idioti, e per questo autentici nel fabbricare la grande finzione. Isolati, isolatissimi. Così vivono (e spesso muoiono: si pensi all’impopolarità di autori come Rocco Carbone, Paolo Zanotti, Luca Rastello) gli scrittori italiani che non vogliono sottostare ai ridicoli diktat dell’editoria odierna: darsi allo storytelling (che per uno scrittore è un po’ come darsi all’ippica), scrivere gialletti seriali con relativo commissario; fare auto-fiction (che è un po’ l’equivalente letterario di partecipare a un reality).



Permunian- alle spalle un libro rifiutato da trentadue editori- considera la letteratura come una sorta di casa di cura dalla realtà, ed ha inanellato diversi libri senza una trama solida, zibaldoni pieni d’intelligenza: un Enrique Vila-Matas di Desenzano, provincia di Brescia. Krauspenhaar ha fatto autofiction quando l’autofiction non esisteva come moda editoriale, e ha scritto dei racconti reperibili in rete invariabilmente memorabili: spesso me ne viene in mente uno che s’intitola “Il treno della morte”, resoconto allucinato di un viaggio ferroviario prima dell’avvento delle Frecce.



Giacomo Sartori da anni pubblica in rete i suoi “Autismi”, lampi di spietato rigore morale applicati a qualsiasi cosa dello scibile umano: impossibili da incasellare dentro le attuali griglie editoriali, sarebbero da pubblicare di corsa, anche a costo d’inventare una collana apposita. Brindisi, pur antologizzato da Siciliano nel prestigioso Meridiano sulla novella italiana, è via via scivolato in una specie di limbo letterario e le sue cose sono state pubblicate da editori invisibili: da leggere subito la doppietta uscita per Quiritta “Il silenzio della neve” e “Elena guarda il mare”. Sergio Nelli è autore di un libro bellissimo- senz’altro da ascriversi all’esistenzialismo (nella sua accezione più alta)- intitolato “Orbita clandestina”, che è anche uscito nella collana prestigiosa di un grosso editore, eppure sembra proprio che la qualità ormai sia un ostacolo alla vendita, e quindi quasi mai viene promossa.



Certo vengono in mente il primo manoscritto dei “Canti Orfici” di Dino Campana smarrito da Soffici, il rifiuto ostinato di Pavese contro Silvio D’Arzo, l’isolamento cui è stato costretto Giuseppe Tomasi di Lampedusa e l’indifferenza riservata a Guido Morselli, quell’unica copia venduta in tutta Napoli da Antonio Pizzuto col romanzo “Ravenna” (comprata da una biblioteca che l’aveva scambiato per una guida turistica del Touring), gli stenti editoriali di due giganti come Tommaso Landolfi e Giorgio Manganelli. Viene il dubbio insomma che la letteratura di qualità sia sempre stata un fatto “minoritario”, e scorra inaccessibile ai più come un fiume carsico. Ma a maggior ragione la pepita d’oro andrebbe cercata anche tra le pieghe dei cataloghi superstiti (una delle leggi non scritte del bestsellerismo è quella di smantellarli, per favorire il culto della novità e perpetrare la favola del consumismo culturale), fuori dai premi e dai giornali, lontano dai festival e perfino da certi editori, il cui unico compito ormai sembra quello di voler dilapidare l’autorevolezza accumulata in passato.



Luca Ricci (Twitter: @LuRicci74)