Così si è sentito investito di una responsabilità forte e impellente. Dalla sua (personale) storia di lettore, è passato a Una storia della lettura (Feltrinelli, 288 pagine, 17 euro), concepita come libro in cui liberamente si depositano le escursioni attraverso i secoli, gli autori, l'enigmatica magia della scrittura.
Una storia pensata come una ricerca sterminata.
Scavalca capitoli, sfoglia, sceglie, rilegge, rifiuta di seguire un ordine convenzionale. Noi lettori di oggi, su cui pesa la minaccia dell'estinzione della specie, dobbiamo e possiamo imparare cosa sia la lettura. Manguel ce lo insegna. Da Plinio che analizza il rapporto tra lo scrittore che legge e il lettore che scrive a Dante che indaga sui limiti del potere di interpretazione del lettore. Dai primi fabbricanti di libri che trovarono il metodo di svolgere un rotolo (simile alla lettura che facciamo sul computer) troppo scomodo e poco pratico e ci offrirono la possibilità di girare le pagine e di scarabocchiare ai margini. Fino a Colette nel suo letto-zattera, così privato e così intimo da trasformarsi in un mondo a sé, dove tutto è possibile, dove, appoggiata ai cuscini come quando era bambina, lei rilegge i vecchi libri amati.
Il passato di questa storia sta davanti a noi, nell'ultima pagina di quel futuro ammonitore descritto da Bradbury in Fahrenheit 451, in cui i libri non sono fissati sulla carta ma nella mente. «Il mondo che si rivela nel libro e il libro stesso sono assolutamente indivisibili. Come il libro, anche il suo contenuto, il suo mondo è palpabile, si può toccare con mano», scrive Benjamin. E Orhan Pamuk: «Se hai in mano un libro, non importa quanto sia complesso o difficile da capire, quando lo hai finito, se vuoi puoi ricominciare da capo, sciogliere le difficoltà, e con ciò capire meglio anche la vita».
Intente nella nobilissima arte di leggere, sapienti il cui rapporto con il libro è considerato sdegnosamente esclusivo ed escludente, chiuso in una “privacy impenetrabile”, in un “furtivo egocentismo”, ecco alcune figure "forti" che sembrano totalizzare l'immagine stessa della lettura. Come Agostino il quale, in un pomeriggio del 384, scopre Ambrogio con gli occhi che esplorano la pagina, la voce silenziosa e la lingua ferma, immerso in una lettura totale che, contrariamente alla norma, non è fatta a voce alta.