Pd nel caos, scontro sul governo. Marini accusa: credibilità persa

Pier Luigi Bersani piange dopo la rielezione di Napolitano
di Ettore Colombo
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Lunedì 22 Aprile 2013, 08:10 - Ultimo aggiornamento: 14:00
ROMA Governissimo s, governissimo no, pi le beghe di casa. Il Pd il solito campo d’Agramante. La giornata democrat segnata da due interviste. Ho grande stima di Letta – scandisce Rosy Bindi a Sky - ma in questa fase un esecutivo con un evidente caratura politica non sarebbe capito dalla nostra gente e non sarebbe utile al Paese». Bindi stoppa Letta, ma ne ha anche per Bersani e la selezione della classe dirigente. Poi chiude: «Abbiamo sempre escluso le larghe intese e le ipotesi di governissimo e mi pare che questa sia ancora la linea del Pd». Insomma, Bindi dice sì a un «governo di scopo o del Presidente per fare le riforme» ma delimitate nel tempo e nel numero.



SFOGO IN TV


E’ amareggiato a dir poco, invece, Franco Marini. L’ex presidente del Senato definisce in tv quanto gli è accaduto «volgare e ingiusto», ma soprattutto si prende una bella rivincita: «La mia candidatura era legata a una strategia che torna ora con Napolitano. Se non le vogliamo chiamare larghe intese, chiamiamole medie intese», ironizza. Marini difende la necessità del governissimo e anche l’idea che al suo interno vi siano esponenti del Pd, a partire proprio da Enrico Letta. Poi taccia il Pd di «opportunismo», lo descrive come un partito che «non governa nessuno, fatto di tanti potentati». Infine attacca a muso duro Renzi: «Ha un’ambizione sfrenata, la moderi». E con Renzi si rientra nel caos Pd. Le tensioni sono molte. Il presidente dei senatori democrat, Luigi Zanda, l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani (uno degli uomini più ascesa nel partito, in questo periodo: leale con Bersani, è sempre molto ascoltato, quasi magnetico dai colleghi deputati, dentro Montecitorio) e l’ex capogruppo Dario Franceschini, si augurano che Bersani ritiri le sue dimissioni.



VERSO IL DIRETTORIO


Con Bersani si è dimessa la segreteria, ma non il vice-segretario Enrico Letta, il cui mandato viene dall’Assemblea nazionale. Sarà Letta il reggente del Pd, probabilmente affiancato da un direttorio di big e personalità influenti (D’Alema, Veltroni, Fioroni, Franceschini, uno di Renzi, uno per i giovani), a traghettare il partito verso il congresso. Stasera dovrebbe riunirsi il caminetto di big alla camera, senza Bersani. E già domani è probabile una Direzione per discutere le diverse ipotesi in campo, ma il Pd rischia di spaccarsi sul tema governo. Alcuni pronti a traslocare armi e bagagli con Vendola e il suo nuovo soggetto della sinistra ci sono già: Corradino Mineo, la Puppato, pezzi della sinistra (Tocci, Vita). Poi c’è la filiera che fa capo al ministro Luciano Barca, a cavallo tra Vendola (che insiste a chiedere «svolte a sinistra») e Rodotà, Fiom e movimenti: l’europarlamentare Sergio Cofferati si è schierato con lui.



I giovani turchi non vogliono scissioni ma stanno lavorando alacremente contro l’ipotesi delle larghe intese, provando a ottenere dal Pd una posizione più neutra (astensione). Diametralmente opposto il lavorìo degli ex popolari guidati da Beppe Fioroni e veltroniani, a nome dei quali Valter Verini dice: «Bisogna fare al più presto un governo del Presidente e dare risposte forti sull’economia e il sociale nei primi sette giorni, non mesi», ma quando il lettiano Francesco Boccia chiede «un Pd unito sulla rotta tracciata da Napolitano», è facile scommettere che non sarà così.
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