L’italiana Monnalisa in maglia bleu: l’appropriazione social è indebita

La Gioconda
di Mario Ajello
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Martedì 17 Luglio 2018, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 22:27
«Che cosa sarebbe la Francia senza gli italiani?», si chiedeva (giustamente) Francois Mitterrand. Ma nessuno, neppure lui che è stato il più italiano dei presidenti francesi, avrebbe mai potuto immaginare che prima o poi, per celebrare una vittoria della Francia, in questo caso calcistica, ai Mondiali di Russia, non venisse usato un dipinto di Jacques-Louis David per esempio «L’incoronazione di Napoleone» o l’effigie di Giovanna d’Arco travestita da Mbappé o «La libertà che guida il popolo» di Eugéne Delacroix con Didier Deschamps al posto della mitica protagonista e si sarebbe ricorso, viceversa, all’aiuto di Monna Lisa in tenuta bleu. Ecco, proprio questo è accaduto: il museo del Louvre festeggia il trionfo della nazionale francese vestendo la Gioconda con la maglietta dei neo-campioni. Non potevano trovare un simbolo loro, e non un simbolo nostro, per gioire di questo successo? Certo che potevano. Non l’hanno fatto, e ci sarebbe quasi da compiacersi per questa gaffe con cui i francesi, solitamente abituati a sentirsi superiori a noi, in un rapporto strano di odio e amore ininterrotto da secoli, per omaggiare se stessi scelgono il genio italiano per eccellenza, ossia Leonardo da Vinci e il suo capolavoro. Naturalmente, questa della Gioconda è l’ennesima appropriazione indebita che spesso i francesi fanno a danno - ma è anche il loro modo di ammirarci, senza ammetterlo mai - del nostro Paese. E così, sui social subito è infuriata la protesta. Commenti del tipo: «Quindi anche la pastiera è francese?». O cadute becere: «La Gioconda è troppo bianca per rappresentarvi». O ancora: «Usate roba nostra per farvi i complimenti, e in più la rovinate pure Monna Lisa con quella magliettaccia». 

ESAGERAZIONI
C’è chi ironizza: «Vi ridiamo Jocelyn in cambio della Gioconda», «Vi prego, tenetevi Carla Bruni e ridateci Monna Lisa», «Però, ad essere sinceri, quando siamo usciti con la Svezia, con le mummie in campo, l’Egitto non s’è incacchiato...». C’è chi esagera: «Comunque se dal Louvre togliamo tutte le nostre opere, potete chiudere». E insomma, che baccano sta suscitando l’iniziativa del gran museo parigino. Che ieri, a un certo punto, in tanta confusione, ha twittato in italiano dal suo account: «Per informazione, la Gioconda è stata venduta da Leonardo da Vinci al re Francesco I». Una precisazione contro tutti quelli, e sono tanti, che hanno subito colto l’occasione per ripetere e viralizzare la falsa storia secondo cui la Gioconda sarebbe stata rapita da Napoleone e da lui portata in Francia. Quando invece il Bonaparte durante la campagna d’Italia trafugò oltre 500 opere, tra cui quelle di Giotto, Mantegna, Perugino, ma la Gioconda no. Era finita in Francia nel 1516, e la portò a dorso di mulo - insieme ad altri due suoi dipinti: Sant’Anna con il bambino e il Giovanni Battista - proprio Leonardo, che venne insignito da Francesco I del ruolo di primo pittore, ingegnere e architetto del re. 

I francesi insomma la considerano propria la Gioconda. Ma il punto non è di chi sia la proprietà materiale del capolavoro leonardesco, ma di chi sia la proprietà intellettuale di questo dipinto. Ed è assolutamente degli italiani. Anzi, è una sorta di incarnazione dell’esprit italienne, e non dell’esprit francais. In questo sta l’appropriazione indebita che viene fatta Oltralpe anche in queste ore. In cui a causa di questa gaffe (poveri cuginastri, verrebbe da dire) e di questo boomerang calcistico-nazionalistico (sarebbero capaci di annettersi anche la pizza i francesi) si rispolverano le solite rivalità tra i due Paesi. E sarebbe bello fare a meno di post del tipo: «Vi surclassiamo in moda, cucina, bellezza, storia, tecnologia (la Ferrari è nostra), calcio (4 cooppe mondiali), clima, donne, arte. E la Gioconda ci fu rubata da Napoleone che per giunta era italiano come la Corsica». Oppure: «Diciamolo, Versailles è una catapecchia in confronto alla Reggia di Caserta». I Socialisti Gaudenti, web-partitino giocoso, proclamano: «Ora ci riprendiamo Nizza, Fiume e la Gioconda!». La rivolta impazza. E a scatenarla è stata la vittoria calcistica che ha mandato però la Francia nel pallone. Come dimostra anche l’incapacità di fare il tricolore con gli aerei (il bianco-rosso-blu è diventato un quadricolore con il rosso ripetuto due volte nel cielo della festa parigina) e la barbarie dei tifosi francesi contro la fontana romana durante l’ubriacatura da campioni. 

RINGRAZIAMENTI
«Possono anche travestirla, ma l’abito non fa il monaco e la Gioconda resterà sempre italiana», è un altro sfogo da social. E questa piccola ma significativa vicenda rientra nella solita baruffa che ha diviso le due nazioni, a volte, per motivi ben più gravi. Basti pensare alle risatine di Sarkozy contro Berlusconi, un ghigno di superiorità mal riposta in tandem con Angela Merkel in una famosa conferenza stampa, o a Charles De Gaulle che diceva con alterigia «ah, les italiens...», o a tanti altri episodi. Anche divertenti. Alla conferenza di pace di Versailles, solo per fare un esempio, mentre il capo del governo italiano Vittorio Emanuele Orlando si lamentava per la «vittoria mutilata» nella Grande Guerra il presidente francese Clemenceau, sofferente alla vescica, sbottò: «Vorrei pisciare quanto lui piange!». E dunque, quante gelosie, quante ripicche, quanti veleni tra noi e loro. Ma stavolta, la bandiera per la festa - e che bandiera: Leonardo! - alla Francia gliel’abbiamo data noi. Potrebbero ringraziare. 
 
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