IL PARTO
È il 26 luglio del 2005 quando Federico nasce con un parto cesareo nella clinica ostetrico-ginecologica del Santissima Annunziata: i medici definiscono «medio-discrete» le sue condizioni generali e decidono di inserire un catetere ombelicale. Il piccolo, venuto alla luce all’ottavo mese di gravidanza e dal peso di due chili e 580 grammi, è ricoverato in incubatrice nel reparto di terapia intensiva neonatale. La situazione degenera nella tarda serata del 29 luglio, fino al decesso avvenuto il primo agosto. La causa della morte? «Sindrome da insufficienza multiorgano del neonato per sepsi neonatale precoce fulminante da batterio Escherichia coli».
I genitori presentano denuncia, ma l’inchiesta penale viene archiviata dopo una perizia del medico legale, secondo la quale non ci sono responsabilità dei sanitari. Quasi dieci anni dopo, L.C. decide di iniziare una battaglia a livello civile e si rivolge al medico legale Giorgio Bolino. «La cartella clinica della madre - si legge nella consulenza - non presenta alcun segno di infezione, il che conferma che la donna non può in alcun modo essere considerata veicolo del contagio, tenuto anche conto che il parto avveniva mediante taglio cesareo». E ancora: «La sepsi in questione è correlabile al posizionamento del catetere ombelicale e alla contaminazione a opera del personale sanitario, dal momento che la madre è risultata completamente immune da processi infettivi». Il professor Bolino arriva a questa conclusione: «Si tratta di una tipica infezione nosocomiale contratta durante il ricovero in ospedale, i cui sintomi si manifestano oltre le 4ì8 ore dopo il ricovero. In proposito è da chiamare in causa la responsabilità della struttura sanitaria». Nel 2015 la donna mette in mora la Asl, chiedendo il risarcimento dei danni. Tentativo andato a vuoto così come la procedura di mediazione. Il resto è storia recente: la Asl dovrà difendersi da una richiesta di risarcimento danni da 2.103.252 euro. L’ospedale, si legge nell’atto di citazione a firma dell’avvocato D’Amico, «non ha adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta e consapevole sanificazione, al fine di evitare la contaminazione dei pazienti a opere dei batteri nosocomiali. La consulenza del professor Bolino consente di affermare che il piccolo ha contratto l’infezione in occasione del ricovero in terapia intensiva neonatale, e verosimilmente quando si procedeva a inserire il catetere ombelicale». Gianluca Lettieri
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