Profughi: 7 miliardi di fondi Ue, ma all'Italia solo pochi milioni

Profughi: 7 miliardi di fondi Ue, ma all'Italia solo pochi milioni
di Cristiana Mangani
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Martedì 20 Marzo 2018, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 00:01

Oltre 1,7 miliardi di euro per il 2016. Tanto è costata la prima accoglienza degli immigrati in Italia. Di questi: 1,29 miliardi sono stati destinati alla prima accoglienza, 266 milioni per la seconda accoglienza, e 111,5 milioni per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Una cifra che diventa enorme se si pensa che dall’Unione europea ci sono arrivati 8,1 milioni tramite le erogazioni dell’agenzia “Frontex” e 38,7 milioni dal Fondo asilo, migrazione e integrazione, il Fami. L’Italia deve fare fronte anche a un’altra spesa, e cioè a quei 762,5 milioni che, alla data del 15 ottobre 2017, sono stati sborsati per le mancate ricollocazioni negli altri Paesi membri Ue.

Tutte cifre che sono state analizzati nella Relazione sulla gestione del fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo per gli anni 2013-2016, deliberata qualche giorno fa dalla Corte dei conti.
Già il ministero dell’Interno, nella direttiva del 2018, chiarisce che «nonostante la virtuosa pianificazione di rientro di situazione pregresse, l’assenza del necessario e cospicuo aumento delle risorse destinate alla gestione del sistema di accoglienza, comporterà continue richieste di integrazione fondi, in assenza delle quali verrebbero a generarsi debiti fuori bilancio». E quindi che le cifre messe a disposizione sono sempre insufficienti. L’Europa, dal canto suo, continua a finanziare i progetti che vengono presentati. E per la prima accoglienza ha messo a disposizione per gli Stati membri, 7,6 miliardi di euro che sono stati ripartiti dal 2015 al 2017. Oltre ai 3 miliardi, ora rifinanziati alla Turchia per la gestione dei flussi dal fronte balcanico.

LA RELOCATION
Restano comunque delle criticità che vengono vissute sul territorio nazionale e che sono state rilevate dai giudici contabili. A cominciare dalla relocation che continua a funzionare a rilento. In base agli accordi di tre anni fa, l’Italia avrebbe avuto diritto a vedere accolti negli altri paesi europei almeno 39.600 richiedenti asilo, ai quali vanno aggiunti una parte dei 54 mila da suddividere proporzionalmente con la Grecia. Fino a ottobre 2017 le persone ricollocate erano 9.754, mentre i dati aggiornati del Viminale parlano di 12.024. Quindi, in pochi mesi sono usciti dall’Italia solo altri 2.270. E, dovendo condividere la quota con la Grecia, ne mancano ancora circa 27.600. Dal 2013 al 2016 è cambiato, poi, il costo medio per migrante: cinque anni va si andava dai 4,97 euro per la Sicilia ai 56,16 dell’Emilia Romagna. E nel Cie di Modena si era arrivati a 167,81 euro. Anche se di recente le cifre si sono abbassate.

Ma quello che più di ogni altro pesa sulla gestione della prima accoglienza è la lentezza del sistema sui richiedenti asilo. Secondo la relazione contabile, così come è strutturato non funziona al meglio. Poche verifiche sugli standard dei centri sparsi sul territorio, tempi per la decisione troppo lunghi, nonostante l’aumento delle Commissioni territoriali. Dal 2008 al 2016 sono state esaminate 340 mila pratiche, che sono costate 69,3 milioni di euro all’Italia. Nel 2016 ne sono state respinte il 56 per cento su 91.102 presentate, cioè quelle riferibili ai cosiddetti migranti economici. Mentre nel 2017 sono state 130.119 le domande, con il 58 per cento non accolte.

I RISCHI
Questo chiaramente apre un altro fronte nel sistema dell’accoglienza ed è quello che riguarda il destino di tutti coloro che non entrano a far parte del sistema di protezione e che diventano sostanzialmente degli irregolari. Non è facile rimpatriarli e quindi - viene considerato - «restano sul territorio senza diritti, facilmente inseribili anche nei circuiti delle attività illecite e malavitose». «Si dovrebbe quindi - è la conclusione - evitare di riconoscere “un diritto di permanenza indistinto” a tutti coloro che sbarcano, e ammettere un’accoglienza di molti mesi (se non anni) durante i quali i migranti, non avendone titolo, vengono di fatto inseriti anche nei cosiddetti percorsi di formazione professionale finalizzati all’integrazione, con oneri finanziari gravosi a carico del bilancio dello Stato».
 

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