Ricetta cinquestelle/ Perché i conti sul reddito di cittadinanza non tornano

di Oscar Giannino
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Mercoledì 14 Marzo 2018, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 02:09
Non ci sono solo le alchimie declinate dai leader di tutti i partiti dopo la conta dei voti: alchimie che sin qui testimoniano in controluce soprattutto una gran voglia di star lontano dal governo e lasciare il compito scottante ad altri, anche se si dice tutto il contrario da parte di Salvini come di Di Maio, sognando impossibili esecutivi solo della propria parte. II realtà, ciascuno vorrebbe soprattutto esser libero di continuare a far campagna elettorale, fino alle prossime elezioni anticipate. Ci sono però anche i problemi concreti. L’irrigidimento eventuale del commercio mondiale sotto il pugno dei dazi di Trump, che ieri ha anche allontanato il segretario di Stato Tillerson, per nulla convinto di guerre commerciali e muscolarismi militari. Il complicato quadro europeo, sulla cui nuova governance grava lo spettro di un rinvio delle decisioni rispetto al calendario che le prevedeva entro giugno. I costi ancora ignoti della Brexit e il documento firmato da nove Paesi membri della Ue contro la linea Macron-Merkel, in aggiunta alle obiezioni del blocco est-europeo di Visegrad, rendono la partita molto più complessa del previsto.

Insomma non è aria di grandi favori alle pretese italiane - condivise da destra a sinistra - di sfondare i tetti di riduzione del deficit, che già l’Europa ci ha concesso in 3 anni di diluire di oltre 2 punti di Pil. E all’orizzonte ci sono due leggi di bilancio, per il 2019 e il 2020, su cui per far quadrare i conti gravano ben 31 miliardi di clausole automatiche di aumento di Iva e accise: la pesante eredità del governo Renzi.

Definirlo un sentiero stretto per l’Italia è un’espressione fin troppo misurata. Anche se ai partiti, a nessuno di loro, spiace sentirselo dire. A parole, hanno tutti abolito le regole europee, anche se a nessuno in Europa passa per la mente di farlo. Ieri per esempio alla stampa estera Di Maio ha detto che ci sarebbe un accordo evidente in Europa a far saltare il tetto del 3% di deficit. Da dove ricavi tale convinzione, impossibile dirlo. Semplicemente perché non è vero. Motivo in più allora per riprendere in mano il cavallo di battaglia dei Cinque Stelle, il reddito di cittadinanza, che in queste settimane ha visto ulteriormente chiarire alcuni dei suoi punti cardine. A dire il vero, senza che ne risultino affatto attenuate le incognite.

Prima incognita: la sostenibilità. Quanto cosa davvero, il reddito di cittadinanza calcolato secondo le medie di povertà relativa Eurostat, molto più elevate di quelle italiane di povertà relativa e assoluta, cioè tale da garantire 760-800 euro al mese euro a individuo e, adottando le scale di equivalenza per componenti familiari, la bellezza di 1706 euro al mese a una famiglia di due adulti con due figli sotto i 14 anni? Ripartiamo di qui. L’Inps guidato da Tito Boeri ne ha calcolato il costo in 30 miliardi di euro, e i Cinque Stelle hanno indicato coperture teoriche per 20 miliardi, parecchio arrampicate sugli specchi a giudizio del professor Roberto Perotti. Resta ancora irrisolto il punto essenziale di come imputare i redditi immobiliari rispetto al calcolo della povertà relativa: i Cinque Stelle non ne hanno mai fatto cenno, ma se sottraessimo al reddito disponibile delle famiglie anche gli affitti pagati, allora l’onere del reddito di cittadinanza potrebbe salire fino ai 45 miliardi di costo, sempre secondo Perotti.

Seconda incognita: la trappola della povertà. Calato in una realtà italiana nella quale attualmente in moltissime province del Mezzogiorno la perecentuale di occupati va dal 37 al 42% rispetto al 64-72% del Nord, l’effetto del reddito di cittadinanza sul mercato del lavoro reale è triplice. Abbassa il livello delle retribuzioni reali invece di innalzarle, fino a poco sopra la soglia di non convenienza per restare beneficiari del pingue sussidio pubblico. Alimenta certamente il lavoro nero, per continuare a beneficiarne senza superare il tetto sotto il quale viene corrisposto il beneficio. E di conseguenza, malgrado il reddito di cittadinanza sia vincolato all’iscrizione presso i Centri dell’Impiego e ad accettarne le proposte di riavviamento al lavoro, creerebbe in realtà assai meno occupati reali aggiuntivi di quanto si dica.

Terza incognita: la falsa condizionalità. La pretesa sottoposizione al vincolo della rioccupazione, cioè la mancata corresponsione del reddito di cittadinanza al terzo diniego di lavoro offerto dai Centro dell’impiego, appare come una buona cosa, ma a un esame spassionato non regge. Se l’offerta è relativa a un’occupazione il cui reddito non sia almeno l’80% di quello conseguito nella mansione precedente, o se il posto di lavoro non è entro i 50 chilometri di residenza, il percettore del reddito di cittadinanza può dire no tutte le volte che vuole senza perdere il beneficio. Che si perde nel caso invece se a giudizio del Centro dell’Impiego vi sia un dolo comprovato nel sostenere i tre colloqui previsti al fine di ottenerne un esito negativo: auguri ai dipendenti del collocamento pubblico, nel provare il dolo di chi sostiene i colloqui. Le parole di Di Maio in campagna elettorale sui 2,1 miliardi da investire nei Centri dell’Impiego “perché quelli di Trento non dialogano con quelli di Napoli”, sono una battuta a effetto: se il lavoro offerto non è entro i 50 chilometri, il beneficiato pubblico resta tale se rifiuta e continua a incassare senza lavorare.

Quarta incognita: l’autosostenibilità. Le dichiarazioni del designato ministro del Lavoro pentastellato, Pasquale Tridico, hanno chiarito che a giudizio del movimento la misura sarebbe in effetti autosostenibile, perché il suo vero fine non è nemmeno tanto quello del lavoro aggiuntivo, bensì della crescita del Pil grazie al moltiplicatore dei 30 miliardi che verrebbero corrisposti, in termini di maggior consumi e dunque crescita del Pil . E’ la solita storia del miracoloso moltiplicatore keynesiano, da sempre considerato superiore all’unità da parte di chi indica per la crescita la via del deficit pubblico sempre, anche quando il Pil cresce, mentre lo stesso Keynes pensava al deficit solo in periodi di recessione per poi riaggiustare a pareggio la finanza pubblica quando c’è la ripresa. Sarebbe giusto a questo punto sviluppare un lungo ragionamento sulle serie storiche della spesa pubblica, che ha effetti diversi sulla crescita a seconda della produttività ed efficienza dell’allocazione nei diversi Paesi della spesa pubblica stessa. Da noi è comparativamente molto inefficiente: ma in ogni caso credere che 1 euro di spesa corrente sia eguale ad almeno 1 euro di crescita è contraddetto dai dati. E comunque quella più produttiva è la spesa in investimenti (anche qui: non sempre) non certo quella in spesa corrente.

Quinta incognita: l’ok europeo. Sempre grazie al candidato ministro Tridico abbiamo compreso che in realtà il reddito di cittadinanza per i Cinque Stelle miri non tanto a creare lavoro e nemmeno a crescita record da maggior spesa in deficit, ma addirittura a risultare sostenibile secondo le stesse regole del rientro del deficit europee. La gabola funziona così: poiché 1 o forse 2 milioni di italiani si iscriverebbero per ottenere il reddito di cittadinanza ai Centri dell’Impiego, passerebbero dalla colonna degli inattivi a quella degli attivi che cercano lavoro. Ergo si alzerebbe il prorotto potenziale italiano, e di conseguenza si amplierebbe il differenziale tra quel maggiore prodotto potenziale e la crescita reale italiana: cioè il cosiddetto output gap. Siccome il calcolo europeo del deficit ammesso, corretto per il ciclo, si fa tenendo conto appunto dell’output gap, ecco che miracolosamente l’Europa ci accorderebbe senza problemi il maggior deficit per finanziare il reddito di cittadinanza. Un vero gioco di prestigio: allo stato degli atti, peccato che sia totalmente infondato credere di poter gabbare così l’Europa. 

Fermiamoci qui. Con ogni probabilità i prossimi mesi vedranno i partiti continuare a parlare in libertà come in campagna elettorale. Poi sarà la realtà, a prendersi come sempre la sua brusca rivincita. Richiamando tutti al rispetto dei vincoli che oggi fa a tutti comodo ignorare. Irresponsabilmente. 
 
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