La legge per Roma priorità post-voto

di Beniamino Caravita
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Mercoledì 21 Febbraio 2018, 00:47 - Ultimo aggiornamento: 00:50
Riprendere il dialogo politico su Roma Capitale è un dovere costituzionale. Bene, dunque, ha fatto il Presidente del Consiglio a confermare la sua disponibilità a riprendere in mano la questione, pur di fronte al comprensibile disagio manifestato dal Ministro dello Sviluppo economico di fronte alle difficoltà di interlocuzione con il Sindaco di Roma. È evidente che non sarà nei prossimi giorni che si potrà affrontare il tema, ma comunque qualche paletto lo si può porre sin da oggi, a memoria di qualsiasi maggioranza e di qualsiasi governo che dovesse emergere dalle elezioni del 4 marzo.

Roma Capitale, invero, può e deve avere uno statuto speciale rispetto all’intero sistema delle autonomie infrastatali. Roma Capitale non è una Regione, non è una Provincia, non è (solo) una Città metropolitana: Roma, come Capitale della Repubblica, può avere un suo ordinamento speciale dettato con legge dello Stato e sottratto alle contingenti maggioranze consiliari che possono approvare e modificare lo statuto dell’ente. Lo dice la Costituzione, lo dice la storia, lo dice la geografia (il Comune di Roma è il più grande e il più popoloso Comune italiano), lo dice la politica (Roma è sede di tutte le funzioni istituzionali nazionali e di quelle del Vaticano e della Fao). 

Dunque, una legge speciale per Roma Capitale si può e si deve fare. Ad alcune precise condizioni. In primo luogo, va sottolineato, sotto il profilo territoriale, che la questione di Roma Capitale riguarda il Comune e non già la Provincia di Roma. Al di là della correttezza di costruire indistintamente tutte le Città metropolitane sulla dimensione provinciale, secondo la discutibile scelta operata dalla legge Delrio, per quanto riguarda Roma - la cui area di impatto è comunque ben più ampia di quella provinciale, superando addirittura i confini regionali - il tema del ruolo di Capitale riguarda storicamente, geograficamente, culturalmente il Comune. Né valga opporre il fatto che porto e aeroporti di Roma siano situati in altri Comuni della medesima Provincia: meglio, molto meglio, fare accordi ad hoc, piuttosto che confondere i livelli di intervento. 

In secondo luogo, a Roma Capitale possono e devono essere trasferite funzioni e competenze normative e amministrative, pur originariamente statali e regionali: dieci anni fa ci si bloccò sulla questione se l’atto di trasferimento dovesse essere statale o regionale: una democrazia matura dovrebbe essere in grado di individuare gli strumenti procedurali per risolvere il conflitto di competenze. Al trasferimento di funzioni deve evidentemente corrispondere il trasferimento di adeguate risorse finanziarie. In terzo luogo, la legge speciale può e deve intervenire sul tema dei servizi pubblici romani. Atac, Ama, Acea, gli altri servizi pubblici sono croce (difficile dire anche delizia!) dei romani, ma gestiscono in realtà servizi che riguardano l’intero paese. 

Il loro peso, proprio in ragione del fatto che ne usufruisce tutta la collettività nazionale, non può essere sopportato dalla sola comunità cittadina, ma di converso anche la governance non può essere solo comunale: occorre individuare gli strumenti operativi che, senza violare l’autonomia della dimensione comunale, tengano presente il contributo che, in ragione del ruolo peculiare della Capitale, lo Stato può e deve offrire a Roma. Da questi tre punti si può partire il 5 marzo 2018: per Roma e per l’Italia.
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