La svolta della destra, adesso punta ai voti degli operai non tutelati

La svolta della destra, adesso punta ai voti degli operai non tutelati
di Diodato Pirone
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Giovedì 8 Febbraio 2018, 18:42 - Ultimo aggiornamento: 9 Febbraio, 11:40
Ieri davanti ai cancelli del maxi-stabilimento Amazon di Piacenza, l'altra settimana davanti a quelli della Ideal Standard a due passi da Cassino dove sono a rischio 330 posti. Non c'è dubbio: Matteo Salvini ha lanciato un'offensiva sul fronte operaio che non si sente più tutelato.

Per la verità, agli operai la Lega piace da un bel po'. Tanto che ancora qualcuno ricorda che nel 1998 l'allora segretario dei Ds, Massimo D'Alema, proprio per questo la definì «una costola della sinistra». Ma allora l'Ulivo raccoglieva quasi la metà del voto operaiodi classe.

Oggi nelle mosse di Salvini (e della leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni) non c'è solo la voglia di rinsaldare un sodalizio sociale ma anche l'obiettivo di rintuzzare la forte concorrenza di altri frequentatori di cancelli delle fabbriche come i pentastellati.

Una strategia vincente? Intanto a Salvini controbatte il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, non candidato ma schierato con il centrosinistra. «Questa idea di trascinare le crisi aziendali in campagna elettorale è assurda - ha detto ieri Calenda - Si tratta di questioni complesse che non si risolvono con i selfie davanti ai cancelli. Salvini, che ha lavorato solo in politica, non ne sa nulla. Anzi, lo accuso di prendere in giro gli operai perché l'ho invitato a venire al ministero per discutere con le carte in mano e non è venuto, né ha presentato interrogazioni come pure ha detto d'aver fatto».

LA STORIA
Al di là della polemica quotidiana, l'attivismo operaio di Salvini (e Calenda) ha il merito di riaccendere i fari sulle fabbriche sia pure attraverso il fenomeno dello slittamento a destra della classe operaia. «E' un fenomeno con radici profonde. Addirittura la prima crepa fra operai e Pci si registrò nel lontanissimo 1984 con il referendum sulla scala mobile», spiega il sociologo Mimmo Carrieri, che ha appena presentato una ricca ricerca de La Sapienza sul mondo del lavoro che cambia. Lo studio ruota intorno ad un dato: il 68% dei lavoratori italiani non si sente rappresentato.
«In estrema sintesi gli operai italiani votano Lega e 5Stelle ma non per adesione alle loro tesi quanto perché cercano una protezione», sottolinea Carrieri. Che però aggiunge: «I ceti medio-bassi chiedono certezze. Vogliono essere sicuri della pensione e di un minimo di assistenza. Dunque chiedono politiche pubbliche di lungo periodo ma la politica offre loro solo risposte a breve».

Articolata anche l'analisi del sondaggista Enzo Risso, direttore della SWG. «Il voto degli operai è la spia degli enormi rivolgimenti degli ultimi 20 anni - spiega Risso - Non ci sono più le grandi fabbriche e quindi la rivendicazione di una coscienza operaia comune. Funzionano diversamente anche le grandi cinghie di trasmissione sociale. Un dato su tutti: se nel 2002 il 66% degli italiani aveva fiducia nel sindacato oggi siamo a quota 17%».

Per Risso, alla fine della catena di montaggio e del fordismo, negli ultimi anni si è aggiunta quello che il sondaggista chiama «la spinta rabbiosa». «Quindici anni fa si definivano di ceto medio il 70% degli italiani. Oggi siamo al 44% - sottolinea Risso - All'inizio del secolo eravamo tutti europeisti adesso siamo al 54%.

Quella che un tempo era aspirazione sociale che si esprimeva anche attraverso la lotta di classe oggi si è trasformata in diffidenza verso il vicino che ti porta via il lavoro. Non a caso se nel 2002 il 49% degli operai italiani diffidava degli immigrati oggi siamo ad uno stellare 89%. Queste spinte non sono solo italiane: in Francia Fabien Engelmann, dirigente della CGT e di Lutte Ouvriere, è il consigliere politico di Marine le Pen».

«Può accadere se la realtà operaia e l'evoluzione del lavoro vengono raccontati senza onestà intellettuale - spiega un sindacalista sui generis come Marco Bentivogli, segretario dei metalmeccanici Cisl - In Italia politica, giornalisti e qualche sindacalista hanno diffuso la favoletta dello schiavismo in fabbrica. Così il sindacato ha finito per abdicare al suo ruolo e la coscienza operaia ha lasciato il posto a messaggi opposti a quelli della solidarietà». C'è un rimedio? «Tanti - riflette Bentivogli - Noi organizziamo i pellegrinaggi di giornalisti, professori e politici presso le fabbriche con modelli positivi, dove si lavora con la condivisione dei lavoratori. Ne escono tutti piacevolmente sconvolti».

 
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