Il presentismo di Raggi/ Roma, cancellare i nomi alle strade tradisce la Storia

di Marco Gervasoni
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Martedì 23 Gennaio 2018, 00:43
Cambiare i nomi delle vie per intestarle ad altri personaggi storici è un’operazione a cui le giunte comunali dovrebbero ricorrere sempre il meno possibile. E non solo per i problemi organizzativi che il mutamento della toponomastica comporta. Invece pare che la giunta Raggi voglia cancellare dallo stradario della capitale i nomi di Arturo Donaggio, Nicola Pende ed Edoardo Zavattari.

Si tratta di tre dei promotori del “Manifesto degli scienziati razzisti”, voluto ottant’anni fa da Benito Mussolini a suggello «scientifico» della stagione razzista e antisemita del regime. A leggerlo oggi è un testo che fa rabbrividire, ma anche all’epoca alcune figure non proprio minori del mondo fascista (su tutte, Giovanni Gentile) manifestarono ostilità nei confronti di questa campagna razzista. Se buona parte dei promotori aderirono per conformismo e per accreditarsi presso il fascismo sempre prodigo verso gli intellettuali (di regime), alcuni di loro erano da tempo sostenitori del razzismo, come il biologo Zavattari. Altri invece, come il medico Pende, affermarono di non aver mai sottoscritto il manifesto (che apparve in forma anonima). 

Ma chi ha inserito i loro nomi nella toponomastica? I podestà fascisti? Tutt’altro. Largo Arturo Donaggio fu introdotto nel 1958, giunta del Dc Urbano Cioccetti. Via Edoardo Zavattari, giunta di sinistra Francesco Rutelli, 1997. Quanto a via Nicola Pende, all’interno del Policlinico, è stata addirittura inaugurata lo scorso anno, davanti al presidente della Regione Nicola Zingaretti. Chi scelse quei nomi lo fece certo non in quanto firmatari delle leggi razziali; ma perché, sia durante il regime fascista che successivamente, essi si erano distinti per le loro ricerche scientifiche - Pende fu candidato per tre volte al Nobel in Medicina. 

Non erano insomma dei mostri sanguinari o degli squallidi propagandisti del regime: il loro terribile comportamento era frutto del conformismo a cui spinge sempre un regime totalitario. Ciò che non li esula dalla responsabilità, se non penale, certamente morale. Trattandosi però di scienziati, le loro scoperte non sono state certo inficiate dal loro imperdonabile razzismo. E hanno contribuito al Paese. Che senso ha quindi la dannazione della memoria? E che c’entra soprattutto la rivendicazione di «antifascismo» con cui Raggi motiva questa decisione? Non si può infatti sovrapporre meccanicamente fascismo e antisemitismo: diversamente dal nazismo, un certo numero di convinti fascisti, a cominciare da Gentile, oltre a non riconoscersi antisemiti, protessero anche numerosi ebrei, come hanno dimostrato gli studi di Paolo Simoncelli. 

Per non citare il famoso caso di Italo Balbo. E per non dire che una discreta quota di gerarchi fascisti era ebrea. Cambiare i nomi delle vie sull’onda di quello che i francesi chiamano «presentismo», sulla spinta di una giusta e comprensibile emozione (ma magari pure per tornaconto elettorale) rischia inoltre di aprire sempre un precedente, a cui potrebbero ispirarsi in futuro giunte di diverso colore. A Roma, ad esempio, un importante viale è dedicato al segretario del Pci, Palmiro Togliatti. Che, nei lunghi anni del soggiorno di Mosca, fu uno dei più stretti collaboratori di Stalin, non esattamente un benefattore (e anche persecutore degli ebrei). Eppure, se qualcuno in futuro proponesse di cancellare il nome di quel viale, saremmo i primi a considerarlo un gesto folle e insensato.

Meglio piuttosto, come ha proposto la comunità ebraica, dedicare nuove vie a quei meritevoli scienziati ebrei che dovettero lasciare il Paese per via delle leggi razziali. E impariamo, una buona volta, ad accettare tutta la nostra storia, un intreccio tragicamente complesso di luci e di ombre, da cui la politica dovrebbe il più possibile stare lontana.
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