Sfide tv, il proporzionale manda in crisi il format

Sfide tv, il proporzionale manda in crisi il format
di Mario Ajello
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Domenica 31 Dicembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 16:08
Le scene madri, come quelle dei faccia a faccia tra Macron e Le Pen o del duello in prima serata tra Merkel e Schultz alla vigilia del voto tedesco a settembre, probabilmente non ci saranno nella nostra campagna elettorale in tivvù. Che rispetto al passato sarà tutta nuova. E non solo perché al maggioritario - che fu inaugurato dal braccio di ferro su Canale 5 nel ‘94 tra Berlusconi e Occhetto, buffamente pettinato come un’anziana signora piena di lacca - è subentrato il proporzionale all’italiana. Ma anche perché, in molti casi, non si sa chi sono i candidati premier. E’ difficilmente immaginale un faccia a faccia, due o tre giorni prima del 4 marzo, tra Renzi e Berlusconi: entrambi per motivi diversi non candidati premier dei loro partiti.

Già all’indomani del voto siciliano, Di Maio aveva posto il problema: «Non accetto il confronto tivvù con Renzi, perché io i confronti li faccio solo con i candidati premier come me e lui non lo è». Ecco, questo è un bel problema. E lo è anche l’annuncio di Pietro Grasso: «Non parteciperò a duelli tivvù. Mi candido per il Parlamento, non per X Factor». Poi, naturalmente, non è affatto detto che questo tipo di posizioni reggano all’avvicinarsi del voto, perché si sa: appena spuntano sondaggi negativi, anche il politico più schizzinoso cambia atteggiamento e si precipita in qualsiasi piccolo schermo, anche quello dell’emittente più periferica del paesino più sperduto. Comunque ci sarà da divertirsi in quella che sarà la più pazza campagna catodica della recente storia italiana. Che nel centrodestra avrà movenze da primarie davanti ai telespettatori: ossia rubarsi voti tra alleati. E c’è quasi da giurare che un dibattito tra Berlusconi e Salvini finirebbe per diventare più sanguinoso di uno scontro tra il Cavaliere e Renzi. I quali avranno il problema di non potersi attaccare troppo davanti a un pubblico a cui toccherà magari vedere, all’indomani del voto, un governo Renzusconi. 

FAZIO LECCHINO
Intanto Salvini protesta: «Quel lecchino di Fabio Fazio invita tutti, tranne me». E la par condicio, che dovrebbe entrare in vigore al momento dello scioglimento delle Camere, ancora non c’è. L’Agicom un mese fa ha varato il regolamento ma la Vigilanza Rai non lo ha ancora esaminato e per ora è lettera morta. Ma i leader si sentono vivissimi. Berlusconi farà ospitate a raffica, ripete «il vento elettorale è favorevole ma bisogna bucare lo schermo» e quindi chiede consigli ai suoi: «Datemi un’idea forte da giocarmi in tivvù». Ossia vuole giocarsi un jolly ad affetto, come l’abolizione dell’Ici, sparata alla fine del duello con Prodi a Porta a Porta nel 2006. Potrebbe essere il rilancio in grande stile del presidenzialismo, che conserva sempre una sua forza iconica, la carta a sorpresa nelle mani del Cavaliere. Ma le idee sono ancora in fieri. Reggerà, sull’altro fronte, quella decisa del Pd per cui «non andranno fatti confronti con il partito di Grasso», per non legittimarlo come sfidante? Renzi manderà in video più che se stesso la «forza tranquilla» dei ministri Pd e la novità social-civilista di personaggi come il virologo Burioni o Lucia Annibali. Michele Anzaldi, in veste di spin doctor dem, spiega: «Ormai i grillini vanno da Vespa come noi, da Fazio come noi, a La7 più di noi. E a noi conviene entrare più massicciamente nel web, dove loro da tempo si sono impigriti e sono fermi». 

60 GIORNI
In 60 giorni, insomma, ne vedremo di tutte. Anche se non ci saranno i super-duelli di una volta, quelli da pop corn e birrozza. Un match Meloni-Lorenzin, donna contro donna, è nelle cose e magari anche quello - è il proporzionale, bellezza! - Lorenzin-Bonino che, pur appartenendo allo stesso schieramento, se i Radicali saranno davvero in campo, sono agli antipodi. Intanto al Nazareno vengono presi molto in considerazione gli «Appunti» per la campagna elettorale 2018, compilati da uno dei comunicatori dem, Francesco Nicodemo. Vi si legge, tra l’altro: «Si deve evitare il linguaggio della politica politicante», «Bisogna puntare sull’empatia con l’opinione pubblica, lasciando a casa il metodo basato su arroganza, supponenza, superficialità e sarcasmo». Ma queste regole, semplici e sensate, con ogni probabilità, verranno disattese da tutti.
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