Il caso alle medie/ A scuola solo accompagnati? Crescono male

di Marina Valensise
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Venerdì 27 Ottobre 2017, 00:12
Il ministro della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli, ha avuto un’altra bella idea. Gli alunni delle scuole medie inferiori, bambini cioè sotto i quattordici anni di età, dovranno essere accompagnati a scuola e ripresi dall’istituto dai genitori, o in assenza dei genitori, dai nonni. 

Finita l’epoca dell’autonomia, finita l’esperienza della libertà che per molti di noi è iniziata sin dalla tenera età di cinque anni, quando presi per mano dal fratellino seienne, percorrevamo a piedi i pochi metri lungo il marciapiedi continuo che separava l’uscio di casa dal cancello della scuola elementare. Finita l’epoca della sicurezza, della prossimità, della fiducia nella vita e nelle persone. Oggi i bambini e i ragazzini adolescenti non potranno più non dico fare pochi passi a piedi, ma nemmeno salire su un autobus, prendere la metropolitana e andare a scuola da soli, senza essere accompagnati da papà e mamma o da chi per loro. E nemmeno l’esonero vale più.

È successo che la Corte di Cassazione ha condannato a un risarcimento un dirigente del Miur, un docente e l’autista di un pulmino scolastico, per la morte avvenuta quindici anni orsono di un undicenne, allievo di una scuola media, investito da un autobus di linea sulla strada pubblica all’uscita di scuola. La sentenza della Cassazione ha stabilito che l’obbligo di vigilanza sugli alunni da parte del personale scolastico non si esauriva entro le mura della scuola, ma continuava anche al di fuori perché riguarda “l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporti davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, e demandava al personale stesso la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporti ritardano”. 

Dunque, i dirigenti di quella scuola del padovano, osservando la nuova giurisprudenza alla lettera, hanno subito chiesto ai genitori di presentarsi a prelevare i propri figli, oltreché di accompagnarli a scuola. E il ministro Fedeli di fronte all’ondata di proteste di genitori in difficoltà, impossibilitati al compito perché già impegnati a raggiungere i loro posti di lavori, di nonni assenti perché residenti altrove o perché presi da in altre attività, ha pensato bene di invocare quella norma del codice civile che stabilisce l’obbligo di vigilare sui minori. “Anche i genitori devono essere consapevoli che questa è la legge e va attuata”. Benissimo. Ora, è più che legittimo invocare le norme di legge e l’assunzione di responsabilità da parte degli adulti rispetto ai figli minori. Ma pensare che un ragazzino di 12 anni, che ha già il telefonino, le chiavi di casa, prende l’aereo da solo, magari già fuma e sa pure guidare la macchinetta del fratello maggiore, debba per legge venire prelevato da papà e mamma davanti al cancello della scuola, che non possa tornarsene a casa da solo, a piedi o in autobus o in metropolitana, mi pare un’esagerazione, e soprattutto un’esagerazione intraducibile nella realtà. Forse allora sarebbe modificare la legge o la norma di legge, come sembrano suggerire molti presidi alle prese col difficile dilemma e preoccupatissimi sia dalla sentenza della Cassazione sia dalla puntualizzazione del ministro. E soprattutto ancora meglio sarebbe ricominciare a insistere, tenuto conto delle nuove e terribili insidie sui nostri figli da parte di bulli, bulletti, pedofili e spacciatori, sulla pedagogia della libertà, l’autonomia e il senso di responsabilità personale, che come la grammatica si devono imparare sin da piccoli, con l’esercizio continuo e il buono esempio. Confinarne il prezioso apprendistato al pomeriggio, al di fuori della scuola e delle aule scolastiche, quando i piccoli sono tornati a casa, come sembra suggerire il Ministro, rischia di rivelarsi una soluzione ancora più disastrosa, come ben sanno gli educatori di quegli allievi che passano, senza soluzione di continuità, da uno stato di coercizione a una condizione di improvvisa libertà senza controllo.
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