Si coglie una prima risposta operativa allo sconfortante quadro economico che il Messaggero ha anticipato nelle scorse settimane attraverso la radiografia impietosa del ministero sullo stato di salute della Capitale. Sono state indicate priorità e risorse a disposizione. La messa in comune dei fondi e dei progetti da parte delle istituzioni protagoniste ha un effetto di moltiplicazione e di accelerazione. Le risorse si sommano (due miliardi), i ritmi serrati imposti al tavolo dovrebbero consentire di arrivare ai piani operativi entro dicembre.
Cambia il metodo e nasce una cabina di regia permanente per valutare i risultati. Che ci sia la volontà di evitare lo spot d’occasione è dimostrato dal fatto che questo organismo è destinato a sopravvivere agli attuali rappresentanti istituzionali: da Calenda alla Raggi a Zingaretti.
Un segnale da apprezzare soprattutto perché arriva alla vigilia di una estenuante campagna elettorale in cui Roma potrebbe finire strattonata e giocata a rimpiattino in modo strumentale tra le forze politiche. Il segreto di questa inedita fumata bianca sta tutto nel cambio di mentalità a cui sembrano ispirarsi i protagonisti. Un togliersi la casacca di appartenenza per militare finalmente nella stessa squadra: quella di Roma non solo come città municipale ma soprattutto per quella che è la sua vera vocazione: essere Capitale degna e giustamente orgogliosa di tale compito. Per la prima volta una altrimenti sempre riluttante Raggi si ritrova dentro e non fuori un processo istituzionale di ampio respiro, senza più quei no aprioristici e barricaderi che finora l’hanno contraddistinta in fasi cruciali al governo della Capitale.
Vigileremo su questo percorso, raccontando ai nostri lettori i fatti che ne scaturiranno. Pronti a denunciare eventualmente le promesse tradite. Ma intanto chiediamo una rivoluzione copernicana che deve seguire all’avvio positivo di martedì. La priorità Roma va proiettata nella prossima legislatura, tenendo la città al di fuori e al di sopra della mischia politica. Mettendola al riparo dalle misere contese partitiche e aiutandola a recuperare quella centralità che, per quasi tutti gli ultimi cinque anni, l’hanno vista nei paradossali e impropri panni di Cenerentola. Questo implicito, ma speriamo presto esplicito, Patto per Roma diventi uno degli impegni imprescindibili della prossima legislatura. Magari riflettendo sulla necessità di dare uno statuto diverso alla Capitale come accade ad altri più illuminati esempi (vedi il governatorato di Parigi).
«Ma che andate a fare a Roma se non avete una grande idea?». Chiosava lo storico tedesco Theodor Mommsen scrivendo al nostro Quintino Sella nel secolo scorso sul limitare dell’Unità d’Italia. E la stessa domanda va riposta alle forze politiche tutte, romane e non, alla vigilia della presentazione dei loro programmi e speriamo anche delle loro ambizioni, in cima alle quali deve esserci l’urgenza della nuova “questione romana”. Perché va benissimo il tavolo appena partito con il realistico obiettivo di rianimare una città sfiancata e bisognosa dei servizi essenziali, ma è anche all’orizzonte che bisogna guardare con coraggio. E’ ad una grande idea che bisogna puntare per caratterizzare la nostra Capitale, mettendola a confronto e al tempo stesso distinguendola da Berlino, Londra o Parigi. Non una piccola Disneyland del turismo low cost ma qualcosa di vitale, efficiente e grandioso che non ne tradisca la storia. Buon lavoro.
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