Turista violentata a Roma: l'accusato
aveva vissuto a Rieti dal 2014

La zona della violenza, a Roma
di Alessandra Lancia
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Giovedì 14 Settembre 2017, 07:52 - Ultimo aggiornamento: 13:33
RIETI - Ha un passato prossimo reatino Saddam Hussein Khan, il ragazzo bengalese accusato di violenza carnale da una giovane finlandese venerdì notte a Roma, in via Monzambano (nella foto).

E anche un passato piuttosto pesante, da come lo ricorda e lo racconta chi quel ragazzo lo accolse, richiedente asilo nel maggio 2014, e ne seguì il percorso di accoglienza fino alla soglia del rilascio del permesso di soggiorno, che avrebbe dovuto ottenere a breve. E reatina è l'avvocato che il giovane ha fatto chiamare dopo l'arresto di sabato: Annalisa Mariantoni, che aveva seguito le pratiche e che ora, di fronte alla pesante accusa di violenza sessuale si prepara a difenderlo col collega Stefano Marroco.

La cooperativa a cui Khan fu affidato, insieme ad altri connazionali, era la «San Michele Arcangelo». A seguirlo nel percorso scolastico fu l'Ari ed è stato Edo Hiaza Eastwood ad abbinare l'episodio di Roma a quel giovane del Bangladesh che già a Rieti aveva dimostrato di avere con le donne un rapporto non sano, per usare un eufemismo.

«Sapevamo di certe sue strane abitudini, di come avvicinava le ragazze sugli autobus o magari nei bar dove lavoravano e l'avevamo anche segnalato alla Polizia», ricorda Eastwood. Un fatto in particolare è rimasto negli archivi della cronaca: successe il 5 dicembre 2015, in via delle Magnolie. Un uomo aveva avvicinato una ragazza del quartiere e gli si era masturbato davanti. La donna aveva urlato e chiesto aiuto, e i poliziotti intervenuti a stretto giro avevano bloccato un bengalese.

«Il bengalese sbagliato, però - ricorda Eastwood - il vero responsabile era Khan, e di lì a poco la comunità di connazionali che vive in città lo ha allontanato, non volendo aver nulla a che fare con lui». E ora legge con apprensione le cronache romane, con la paura di doverne pagare le conseguenze.

«Quando sollecito la convocazione del tavolo in Prefettura sull'immigrazione è a questo che penso - conclude Eastwood - Il confronto tra chi a vario titolo si occupa di immigrati a questo serve: a individuare elementi deboli o pericolosi e a prendere contromisure. Da soli gli operatori non possono fare molto».
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