Antidoti possibili/ Ma la spirale della vendetta è folle autogol

di Franco Cardini
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Martedì 20 Giugno 2017, 00:33
È un’antica e ben nota legge: salvo imprevisti che pur possono esserci, si raccoglie sempre quel che si è seminato. Ed è anche vero che “chi semina vento”, raccoglie tempesta”. Ma bisogna pur vedere chi ha seminato vento: e se chi raccoglie tempesta abbia o no ottenuto quel che voleva. 

L’episodio è stato inequivocabile, la scena chiara e ormai “classica”. Gente pacifica, raccolta per un evento: e non importa poi molto se sia una passeggiata sulla Promenade di Cannes, il London Bridge o la moschea di Finnsbury Park. Arriva un automezzo, falcia i convenuti e i passanti, semina la morte. In questo caso è toccato ai fedeli musulmani - tutti o quasi cittadini britannici - che erano insieme per festeggiare una notte di Ramadan.
L’assassino è un quarantottenne padre di famiglia: lo hanno preso, la folla avrebbe voluto linciarlo, l’imam Mohammad Kozbar si è interposto salvandogli al vita. Non è affatto un eroe: è una brava e coraggiosa persona che ha fatto il suo dovere. Poi, i commenti: e ci sarebbe da trasecolare, se ormai non fossimo abituati a tutto.
Qualche giornale ha ricordato che la moschea era la medesima dove, nel 2003, qualcuno predicava l’odio, la violenza, il jihad. Già, il fatidico 2003: l’anno nel quale il premier britannico Tony Blair, in combutta con George W. Bush jr., seminava false notizie e prove impataccate - lo ha confessato lui stesso, qualche mese fa - per giustificare l’aggressione all’Iraq. Parecchi commenti, specie sui famigerati social (e pare proprio che l’Italia ne abbia quasi il primato) hanno espresso alati pareri, quali che i musulmani se la sono andata a cercare, che finalmente qualcuno reagisce, che questo è solo l’inizio del contrattacco. 
I criminali che hanno messo on line queste idiozie, del resto, possono andare a festeggiare: è ormai certo che i raid della coalizione occidentale si sono abbattuti negli ultimi giorni su Raqqa facendo oltre 300 morti. Chi si dà allo sport della computisteria macabra e gode del giochino a chi ne ammazza di più, si compiaccia pure: siamo ancora in attivo noi. 

Non c’era nessuna ragione di colpire la moschea di Finnsbury Park: dopo il 2003, il personale che la gestisce era del tutto cambiato. Ma, come nel Triste Principe di Danimarca, c’è del metodo nella follìa dei terroristi: non solo si possono, ma si debbono uccidere degli innocenti. Solo in questo modo si genera non solo più terrore, ma anche più odio: e accrescere l’odio è lo scopo ultimo dei mandanti di qualunque genere di attacco terroristico. Lo scopo, perseguito dai jihadisti che fiancheggiano il Daesh come da quanti in Occidente vorrebbero “occhio per occhio dente per dente”, è il medesimo: dimostrare ad ogni costo che la convivenza tra “noi” e “loro” è impossibile. I nemici dei terroristi non sono quelli che bombardano Siria, Iraq e Afghanistan con elicotteri e droni. Al contrario: essi ne sono i migliori alleati, perché ammazzano degli innocenti e così facendo favoriscono il dilagare tra i musulmani dell’estremismo jihadista e della parola d’ordine wahhabita, cioè che non può esserci convivenza fra i “credenti” e gli “idolatri”. I nemici dei terroristi sono gli uomini e le donne di buona volontà, che non si lasciano intimidire e che continuano a lavorare serenamente, coraggiosamente, per affermare il diritto di tutti e di ciascuno a pregare il proprio Dio e a vivere in pace con in vicini.

È stato detto con chiarezza da molti osservatori - da Olivier Roy, ad esempio - che oggi il pericolo non è la radicalizzazione dell’Islam, bensì l’islamizzazione del radicalismo: specie di quello che nasce dal disadattamento, dalla miseria, dalla carenza di certezze nel domani. La “carne da cannone” pronta al sacrificio in Europa, i propagandisti wahhabiti la trovano tra i delusi della Modernità, tra chi da noi cercava il benessere e ha trovato solo la miseria e il disprezzo. Ma i delusi, gli sbandati, quelli che magari hanno qualcosa da difendere e da perdere ma si sentono vuoti e disperati dentro - come l’assassino di Finnsbury Park, un uomo di mezz’età con una famiglia numerosa - ci sono anche da noi, tra noi. E l’Islam è un capro espiatorio troppo comodo per chi vuole sfogare fallimenti e frustrazioni.

Ora, è l’emulazione il pericolo da affrontare: e almeno entro certi limiti si tratta di una battaglia perduta in partenza. Per chi è alla ricerca del Grande Male che spieghi finalmente i molti, intollerabili piccoli mali dai quali è affetto, l’assassino di Finnsbury Park è già un Eroe, un Giustiziere. Lo scopo dei mandanti dei terroristi è proprio questo: innescare la spirale della vendetta, far dilagare da noi una guerra civile che nel vicino Oriente c’è già, quella tra fazioni estremiste sunnite e sciite. Lo scopo ultimo degli emiri salafito-wahhabiti dell’Arabia Saudita, dello Yemen e del Kuwait è colpire gli sciiti e, come obiettivo supremo, l’Iran: ma ciò tanto più facilmente avverrà quanti più saranno i musulmani sunniti convinti che tra Islam e Occidente non può esservi pace, che chiunque non adori Allah alla loro maniera è obiettivamente un apostata e un idolatra. Vedere globalmente il nemico nell’Islam anziché nell’ancor piccola serpe velenosa che è il pericolo wahhabita è il rischio al quale possiamo soggiacere noi, se lasciamo spazio a chi nei media e sui social va ripetendo che il nemico è l’Islam, solo l’Islam, tutto l’Islam. L’assassino di Finnsbury Park era probabilmente convinto di questo: e magari ha colpito persuaso che quello fosse l’unico modo di difendere i suoi figli. 

Il cammino, ora, è tutto in salita. Quando spira il vento della follìa, di qualunque follìa, le persone oneste e sensate si trovano sempre in difficoltà: anche perché i matti e gli irresponsabili possono essere pochi, pochissimi, ma ne basta uno per innescare un processo dagli esiti difficili non solo da combattere, ma anche da immaginare. L’avremo vinta noi, non temete: ma sarà dura. E le armi sono poche, in apparenza non sempre immediatamente efficaci: eppure infallibili se ben usate. La vigilanza e l’informazione: comprendere gli altri e i loro bisogni, insegnare e imparare al tempo stesso che vivere insieme (e per vivere insieme bisogna conoscersi) è l’unico antidoto al veleno che sta dilagando nel mondo. 
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