Rieti, i terreni dell'ex Snia sono
ancora inquinati, bonifica assente
In cinque rinviati a giudizio

L'area
di Massimo Cavoli
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Venerdì 21 Aprile 2017, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 13:23
RIETI - Una bonifica eseguita solo in parte e mai ultimata, destinata a ripulire il terreno dell’ex Snia Viscosa (nella foto, l’area dall’alto) dalle sostanze che ancora oggi rendono l’area altamente inquinata. Parte da qui l’inchiesta (relativa a fatti precedenti all’attuale progetto di riqualificazione dell’area dismessa, noto come Next Snia, messo in campo da Comune, Rena e Monte Paschi) basata su un rapporto della sezione reatina dell’Arpa Lazio e culminata con il rinvio a giudizio (processo a luglio) di cinque amministratori laziali, toscani e lombardi delle società Immobiliare Rieti, Sviluppo Direzionale Lazio Sdl srl e Monte Paschi Siena Leasing & Factoring Spa, succedutesi nella proprietà dell’insediamento di viale Maraini (il periodo di riferimento che riguarda gli imputati va dai primi anni 2000 al 2014), chiamati a rispondere dei reati ambientali legati alla mancata bonifica e a una gestione dei rifiuti incontrollata.

L’ITER
Una vicenda, in passato, intervallata anche da un provvedimento del Comune con il quale fu autorizzato un intervento di bonifica in danno dei proprietari, risultati inadempienti nonostante gli obblighi imposti dalla legge e dalle decisioni assunte in conferenza dei servizi, ma la successiva revoca di quell’atto da parte degli stessi uffici comunali bloccò la procedura. La successiva indagine della procura, iniziata nel 2010 e affidata alla polizia giudiziaria forestale, sulla scorta dei rilievi effettuati dall’Arpa è servita a ricostruire le varie tappe che hanno portato all’inquinamento dell’ex Snia e a evidenziare le presunte responsabilità della contaminazione storica dell’area, addebitabili alle società Snia, Immobiliare Snia, Nuova Rayon e BembergCell, titolari della pluridecennale produzione di fibre di cellulosa, cessata tra il 2006 e il 2007 dopo il fallimento dell’ultimo gruppo milanese.

Ma non ha escluso gli ultimi proprietari e gestori dell’area i quali, anche se non vanno considerati direttamente colpevoli della contaminazione storica, possono aver contribuito con il loro comportamento omissivo a provocare un’ulteriore contaminazione dell’area e un aggravamento della situazione sanitaria, con ripercussioni per la popolazione.

IL RAPPORTO
L’Arpa, nel rapporto che ha poi orientato l’esito dell’indagine penale, ha poi denunciato diverse situazioni fuorilegge che hanno contribuito ad aggravare lo stato del sito industriale, come, ad esempio, lo smontaggio di macchinari industriali eseguito da ditte private, avvenuto senza adottare le necessarie cautele, provocando la nascita di discariche incontrollate, oppure causando l’abbandono di rifiuti contenenti, in alcuni casi, sostanze pericolose che possono essere penetrate nel sottosuolo.

E’ mancato, in buona sostanza, da parte delle società e degli amministratori rinviati a giudizio, il rispetto di precise norme che imponevano di rimuovere e smaltire i rifiuti nonché mettere in sicurezza i luoghi, tanto che, ancora nel 2015, la stessa agenzia aveva sollecitato interventi urgenti per caratterizzare l’intero sito e scongiurare un aumento della contaminazione.
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