I robot rubano più posti di lavoro della globalizzazione, lo dice una ricerca

I robot rubano più posti di lavoro della globalizzazione, lo dice una ricerca
di Anna Guaita
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Mercoledì 29 Marzo 2017, 22:38 - Ultimo aggiornamento: 31 Marzo, 17:02
NEW YORK – La globalizzazione. Molti sono convinti che l’apertura delle frontiere, il trasferimento di industrie e fabbriche in altri Paesi sia da considerare la causa principale della perdita di posti di lavoro nel settore manufatturiero dell’Occidente. Solo di recente si è comiciato a discutere del ruolo che l’automazione ha avuto sulla caduta dell’occupazione. E ora due studiosi dei Massachusetts Institute of Technology e della Boston University ci rivelano nero su bianco quanti posti di lavoro sono stati “rubati” dai robot: dove venga introdotto un robot, si perdono 6,2 posti di lavoro, e i salari scendono dello 0,75 per cento.

I due studiosi, Daron Acemoglu e Pascual Restrepo, hanno pubblicato le loro ricerche presso il “National Bureau of Economic Research”, il noto e stimato centro di ricerca economico di New York. I due si sono limitati a studiare l’effetto della robotizzazione negli Usa fra il 1999 e il 2007: 670 mila posti di lavoro sono allora stati immolati sull’altare della automazione.

La ricerca è straordinariamente attuale considerato che Donald Trump ha centrato molto della sua campagna sulla lotta alla globalizzazione, che ha identificato come principale nemica dei lavoratori Usa. E in questi giorni il suo ministro delle Finanze, Steve Mnuchin, ha anche detto che l’influenza dei robot “non compare neanche” nel loro radar, e che giudica che ci vorranno 50-100 anni prima che influisca davvero sull’occupazione.
 
Acemoglu e Pascual chiariscono invece che il ritmo di automazione va crescendo e la ricaduta sugli esseri umani continuerà e si allargherà di pari passo. Secondo i loro calcoli, entro il 2025, cioé entro i prossimi otto anni, il numero di robot in fabbrica aumenterà di quattro volte, con “vasti e robusti effetti negativi” sull’impiego. Il professor Restrepo ha detto in una intervista al New York Times: «Certo che continueranno ad esserci posti di lavoro nel futuro. Ma sono preoccupato per le aree dove verranno impiegati più robot».
 
Attualmente la robotizzazione interessa le fabbriche di automobili, oltre alla manufattura di prodoti elettronici, metalli, plastiche e prodotti chimici. Ma non è lontano un futuro in cui ci sarà una seconda ondata di robotizzazione: macchine intelligenti che imparano da sole, droni, automobili senza autista. L’effetto che questi nuovi “robot” avranno sull’impiego è per ora imprevedibile. Ma altri studiosi che hanno letto il rapporto di Daron Acemoglu e Pascual Restrepo hanno espresso l’ipotesi che forse garantire un “salario minimo” a tutti i cittadini sarebbe l’unica difesa contro i danni di una crescita della disoccupazione. Ma questa sarebbe una difficile scelta politica, che non molti paesi sembrano – almeno al momento – interessati a contemplare.  
 
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