Piero Fassino: «Bersani e D’Alema incoerenti. La rottura un favore alla destra»

Piero Fassino: «Bersani e D’Alema incoerenti. La rottura un favore alla destra»
di Nino Bertoloni Meli
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Giovedì 16 Febbraio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 09:09
Scissione nel Pd? «Fermiamoci tutti, riflettiamo, ragioniamo, altrimenti rischiamo di consegnare il Paese alle destre». Piero Fassino, tra i padri fondatori del Pd, lancia il suo di appello a scongiurare divisioni che possono soltanto nuocere alla causa della sinistra e del Paese.

Fassino, in questi giorni si moltiplicano inviti e appelli a evitare divisioni. C’è questo pericolo?
«Guardo con grande angoscia a quanto sta succedendo. Si sta mettendo a repentaglio non solo il futuro del Pd, ma del Paese, visto che il Pd è l’asse centrale su cui ruotano maggioranza e governo, con le destre e il M5S che non sono credibili, non hanno una proposta seria di governo del Paese. Se non la smettiamo di dividerci e azzuffarci su questioni per giunta che non interessano gli elettori, rischiamo di consegnare il Paese a queste destre».

Forse, chi pensa a divisioni lo fa per rafforzare una prospettiva di sinistra.
«Mah. Ogniqualvolta la sinistra si è scissa, è diventato più debole chi ha subito la scissione, e meno forte chi l’ha promossa. E si è favorita l’ascesa della destra. Negli anni Venti il Psi subì tre scissioni, e alla fine per vent’anni il movimento fascista si impadronì del Paese».

Ha capito bene le ragioni della minoranza dem che agita la scissione?
«Francamente no, non le ho capite. Né posso credere che si voglia fare una scissione su una data, se fare il congresso adesso o in autunno. Le scissioni si fanno quando si hanno progetti alternativi incomponibili, prospettive inconciliabili, non sulle date».

Il congresso del Pd va fatto adesso perché?
«I motivi sono dettati dallo stesso calendario delle scadenze politiche. In giugno avremo un turno amministrativo che riguarda tante città e capoluoghi; pende poi un referendum sui voucher che può essere affrontato o politicizzandolo come quello sulle riforme, sbagliando, o facendone l’occasione per un nuovo patto sul lavoro; subito dopo ci sarà da lavorare alla legge di stabilità, dove andrà aggredito il debito pubblico; in autunno, infine, ci sono le elezioni in Sicilia, spesso banco di prova per le prospettive del Paese. Chiedo: andiamo a queste cruciali scadenze senza avere prima discusso e deciso un profilo politico all’altezza, affrontiamo queste scadenze senza avere prima deciso la linea? Ovvio che no, ci vuole appunto un congresso, prima, non dopo. Farlo in autunno significherebbe un congresso quando tutte quelle scadenze saranno già passate».

Un congresso di conta? Una gazebata, come accusa la minoranza?
«Per favore, evitiamo queste definizioni. Come quell’altra, del congresso di figurine. Ne ho fatti e visti tanti, di congressi, ma di figurine non ne ho viste mai».

Sono in corso tentativi di mediazione per arrivare a una qualche intesa.
«Vedo che Orlando ha proposto la conferenza programmatica. Bene, si potrebbe procedere in questa direzione, purché non sia sostitutiva o alternativa al congresso. Si potrebbe trasformare la Convenzione congressuale che deve selezionare i candidati alle primarie, in una convenzione programmatica che può benissimo accompagnare l’iter congressuale. E’ la proposta che ho avanzato insieme a Martina».

La candidatura di Orlando al congresso potrebbe essere rappresentativa degli ex Ds?
«Nel Pd sono tantissimi coloro che vengono dai Ds, a partire da me che come segretario ne proposi il superamento per fondare il Pd. E per altro, è destituita di fondamento la tesi secondo cui chi viene dai Ds non può che stare con la minoranza dem. Non è così. Io e tantissimi altri ex ds siamo parte essenziale della maggioranza che sostiene Renzi».

E Bersani e D’Alema che spingerebbero alla scissione, che effetto le fanno?
«Francamente non riesco a capacitarmi. D’Alema e Bersani hanno sempre contrastato scissioni, al massimo le hanno subite, non hanno mai favorito operazioni minoritarie, le hanno contrastate, entrambi hanno contribuito a fare il Pd, sarebbero in sostanza non coerenti con la loro storia e con le battaglie che hanno sempre fatto».

Se si fa il congresso, poi si arriva all’autunno, significa in sostanza lunga vita al governo Gentiloni?
«Questa idea che ci sia un nesso fra il congresso di un partito e la durata dei governi è sbagliata, fuorviante e non vera storicamente. Congressi che influirono sui governi sono l’eccezione, tipo quello del Psi all’Ansaldo, quando Craxi nella relazione annunciò che mentre lui parlava, De Michelis stava andando da De Mita per aprire la crisi. Ma si tratta appunto di eccezioni. I destini del governo, che fra l’altro sta facendo bene ed è apprezzato, non sono legati al congresso del Pd».
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