La morte di Castro: gli Usa gioiscono, ma guardano al futuro

La morte di Castro: gli Usa gioiscono, ma guardano al futuro
di Anna Guaita
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Sabato 26 Novembre 2016, 15:37 - Ultimo aggiornamento: 17:12
NEW YORK – La gente è per le strade a Miami, a festeggiare quella che la deputata repubblicana Ileana Ros-Lehtinen ha definito “la morte del tiranno”. Nella città che racchiude la più alta concentrazione di cittadini cubani del mondo fuori dall’isola, nessuno ha dubbi che la fine del novantenne rivoluzionario non può che segnare uno sviluppo positivo per la sua patria di origine. Ma la morte di Fidel avviene in un momento delicato proprio per il gigante del nord, il nemico di tanti decenni. Il passaggio di poteri a Cuba coinciderà con il passaggio di poteri a Washington. Difatti il silenzio che ha accolto la notizia nelle prime ora ha testimoniato del tentativo dell’Amministrazione uscente e di quella entrante di non esporsi troppo e troppo presto. Difatti Donald Trump ha mandato solo un tweet, ma straordinariamente asciutto se paragonato alle sue abitudini: “Fidel Castro è morto!” Tanto asciutto che gli analisti si sono ridotti ad arrovellarsi sul significato di quel punto esclamativo.

Poche ore più tardi però arrivava un chiarimento molto forte che non lasciava dubbi: «Castro è stato un dittatore brutale che ha represso la sua gente».

Da parte di Barack Obama invece una reazione decisamente più cauta: «La storia giudicherà l'impatto di Castro su Cuba e il mondo. Stendiamo una mano di amicizia al popolo cubano, sappiamo che in questo momento provate emozioni potenti nel ricordare gli innumerevoli cambiamenti che Castro ha causato nella vita degli individui, nelle famiglie e nella nazione cubana».

Ma tutti negli Usa sanno che la grande domanda che pende sul futuro riguarda il disgelo avviato da Barack Obama e Raul Castro esattamente due anni fa, e appoggiato dalle mediazioni del Pontefice. Le reazioni su questo punto sono contrastanti. E’ opinione diffusa che Fidel fosse una palla al piede per Raul e i suoi tentativi di riforme, e che ora le cose andranno più veloci. Ma è anche opinione diffusa che Cuba troverà meno simpatia a Washington. L’uscita di Obama, il 20 gennaio, porta alla Casa Bianca un nuovo presidente che ha già espresso parere negativo sul disgelo. Durante la campagna elettorale, Trump era stato nettissimo: “Tutte le concessioni date a Cuba sono state per decreto presidenziale. E i decreti li posso cancellare a meno che Cuba non obbedisca alle nostre richieste e non conceda la libertà religiosa e politica e non liberi subito tutti i detenuti politici”.

Sappiamo tuttavia che i cubani non apprezzano sentirsi dire che devono “obbedire”, e vogliono essere visti come “pari in una trattativa fra due Stati”, come ha spiegato lo studioso William LeoGrande, il quale però è anche convinto che “un po’ dell’astio e dell’antagonismo evaporerà presto, e sarà un bene”.

Nei due anni del progressivo disgelo Barack Obama ha fatto varie concessioni che sarà effettivamente difficile cancellare con un colpo di penna: centinaia di migliaia di persone ora possono viaggiare verso e da Cuba (anche se devono ottenere uno speciale permesso), le linee aeree Usa sono tornate a includere l’isola nelle loro rotte, è possibile spedire soldi nell’isola, e finanziare aziende private (purché al livello individuale). Sono stati anche firmati accordi bilaterali per la cooperazione nella lotta al traffico della droga, per la difesa dell'ambiente e la regolarizzazione dell'emigrazione.

L’embargo tuttavia è prerogativa del Congresso, in quanto è una legge, e il presidente non può cancellare una legge. Cosa vorrà fare il Congresso, tutto a maggioranza repubblicana? Non bisogna credere che sia automaticamente schierato con le posizioni intransigenti di Trump candidato: una larga parte del mondo economico Usa ha l’acquolina in bocca all’idea di cominciare a investire alla grande in quello che una volta era il paradiso dei ricchi americani. Il commentatore Raul Reyes per esempio è convinto che anche Trump, da imprenditore, capisce che le possibilità di investimento a soli 160 chilometri dalla costa Usa aiuterebbero la crescita americana: “Sono sicuro che immagina già campi da golf e hotel con il suo nome”.  Per molti dunque, si tratta di aspettare la fine dei nove giorni di lutto, che nell’isola sicuramente si trasformeranno in un tripudio celebrativo della rivoluzione e del suo eroe, per cominciare a fare davvero i conti sui futuri rapporti fra l’isola e “El Norte”.
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