Charlie Hebdo, la rabbia dei terremotati: «Non rispettano il dolore, è come un calcio in faccia»

Charlie Hebdo, la rabbia dei terremotati: «Non rispettano il dolore, è come un calcio in faccia»
di Renato Pezzini
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Sabato 3 Settembre 2016, 07:49

dal nostro inviato
AMATRICE Ci sarebbe altro a cui pensare che non a una vignetta macabra e malriuscita, ma Stefano Belà proprio non ce la fa. La guarda e la riguarda mentre gli si arrossano gli occhi: «Bastardi». Non sa che il web ha dato fuoco alle polveri mettendo sotto processo Charlie Hebdo, né che l'Ambasciata di Francia ha chiesto scusa e che lo stesso giornale satirico ha cercato di riparare in modo sgangherato con una nuova vignetta che offre «una lettura politica» della precedente: «Non è questione di libertà di stampa, ma di rispetto. E loro non sanno neppure cosa sia».

«QUESTI I FRATELLI FRANCESI?»
Stefano la notte del 24 agosto ha tirato fuori dalle macerie la nonna Adele, morta. Ieri per sovraprezzo gli hanno dato la notizia che il cadavere di sua zia Annunziata è stato riconosciuto fra le vittime senza nome. E ora lui se ne sta in una piccola frazione di Amatrice San Tommaso con la compagna e 80 pecore da accudire, dorme nelle tende da campeggio con la piccola comunità di amici che insieme provano a ripartire: «Questa sarebbe l'Europa? Questi sarebbero i nostri fratelli francesi?».
Il Commissario Vasco Errani, fra una riunione e una visita a una tendopoli, si ferma per dire la sua. Da due giorni deve fare i conti con i volti dolenti di chi ha perso parenti, amici, la casa e magari anche il futuro: «E sono certo che questa gente vedendo una vignetta del genere abbia una sofferenza ulteriore». Ed è così. Poi si può discutere di tutto, della libertà di stampa e della libertà di satira, ma le belle teorie non leniscono neanche un po' l'indignazione di chi si sente gratuitamente oltraggiato in questi giorni di dolore acuto.
 
«NESSUNA SENSISIBILITÀ»
Non bisogna immaginare che nelle tendopoli di Arquata o di Accumoli o di Amatrice regni la cupezza del lutto. Sé è possibile si scherza, ci si canzona a vicenda, il buon umore è sempre un antidoto alla rassegnazione e una bella risata è anche un modo di resistere: «Ma così no. Quella vignetta è un calcio in faccia a chi già si trova disteso a terra, tramortito, e sta cercando la forza di rialzarsi» dice Settimio, che ha perso un fratello e che ora deve farsi carico, oltre che dei figli, anche dei nipoti.
Quella vignetta, dicono coloro che gli stanno intorno, restituisce perfino un senso di solitudine: «Ci fa capire che chi non sta qui, chi è lontano e magari ha pianto davanti alla tv, non può comprendere fino in fondo cosa accade alla vita delle persone annientate dal terremoto». E allora si sentono come dimenticati o, tutt'al più, gelidi oggetti di qualche dotta discussione sul senso della vita e sulle manchevolezze della politica. Ma abbandonati al loro destino perché intanto di tragedie è piena la storia, questa non è la prima e non sarà l'ultima.
C'è anche chi alza le spalle e se ne frega: «Una vignetta in più o in meno non sposta nulla» sussurra Fabietto Cincaglioni mentre, fuori dalla tendopoli di Grisciano, prova a far ripartire la sua 500 che non vuole saperne: «I nostri problemi sono altri. Non mi cambia niente la presunta satira di quel vignettista francese, e non mi cambiano niente le sue scuse». La pensano così in tanti, compresi alcuni che a suo tempo in un impeto di commossa partecipazione avevano scritto su facebook Je suis Charlie. Chissà se lo rifarebbero ancora.
Antonella Di Mattia insegnava inglese alla scuola di Amatrice e la sua rabbia la sintetizza in inglese: «No comment», ma vorrebbe dire molto di più, vorrebbe dire le cose irripetibili scandite da Francesco Sartori a proposito della strage compiuta nel gennaio 2015 nella sede di Charlie Hebdo. Angelo Sciosci, venuto da Roma per consegnare aiuti raccolti fra i suoi colleghi di lavoro, la fa breve: «Una bassezza allucinante. Questi sono i valori che dovremmo difendere?». Il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, strabuzza gli occhi: «Come si fa a ridere quando ci sono così tanti morti? La satira è bella, è importante. Ma qui c'è soltanto cattivo gusto».
Per non parlare dei volontari, dei vigili del fuoco, delle infermiere della Croce Rossa che da dieci giorni si scarnificano per aiutare questa gente a ridarsi una parvenza di normalità e a cui pare impossibile che ci sia qualcuno «che non abbia nemmeno un briciolo di sensibilità per capire che offendere il dolore altrui è barbarie». E forse proprio per questo Stefano Belà, asciugate le lacrime e tornato alle sue pecore, si fa venire un'idea: «Bisognerebbe pubblicare la foto di quella suora tirata fuori dalle macerie tutta sanguinante. E scriverci sopra: Je suis Charlie».
 
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