L'arte di governare

di Marco Gervasoni
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Sabato 3 Settembre 2016, 00:14
Le baruffe attorno alla giunta Raggi sono quanto di più surreale la scena contemporanea ci abbia riservato. Non spiegabili solo con uno scontro in M5S. 
Sarebbe infatti limitativo spiegarle semplicemente con lo scontro di ambizioni personali tra questo o quel maggiorente pentastellato. Il problema è più profondo, non riguarda esclusivamente Roma e neppure i soli 5 stelle. Ed è quello delle classi dirigenti.
Raggi fatica a trovare individui in grado di gestire la cosa pubblica: tecnici, funzionari, imprenditori, professori e professionisti. In altre parole le élite. Non che manchino a Roma ma una parte di queste non ha nessuna intenzione di farsi coinvolgere in un'impresa che sembra solo procurare guai, un'altra parte è invece letteralmente disprezzata da Raggi et co. Inoltre i grillini non sono neppure d'accordo tra loro su quali esponenti dell'élite accogliere per poter amministrare: chi è valido ed affidabile per qualcuno, diventa un infiltrato o un opportunista per altri.
Di questo dilemma però i 5 stelle dovrebbero accusare non fantomatici complotti ma la loro stessa cultura politica. Hanno fatto fortuna infangando politici, dirigenti pubblici, amministratori, finanzieri, imprenditori, professionisti, opinion leader. Hanno inscenato battaglie contro i club Bilderberg, le massonerie, le caste varie.
 
E continuano tutt'ora a gettare discredito sulle élite, in nome della purezza, dell'onestà e della trasparenza.Non si devono perciò meravigliare se i rappresentanti delle classi dirigenti si guardano bene dall'intrupparsi e se persino quelli mossi da buona fede o da legittimo desiderio di potere sono costretti a fuggire a gambe levate dopo poche settimane. Dal dilemma in cui si sono infilati, i grillini non possono evadere. La loro ragion d'essere è l'ostilità verso le élite, ottimo argomento quando si è all'opposizione, ma quando si va al governo è su quelle che occorre contare. Così facendo, però, i 5 Stelle negano la loro identità e si trovano sommersi dalle contumelie della base sdegnata e dalle mene di chi all'interno del movimento usa i militanti per acquisire forza.

Il problema non riguarda solo Roma e i soli grillini, si diceva, ma tutti i partiti dotati di un'identità populista. L'essenza del populismo sta infatti nella contrapposizione tra i grossi, dipinti come corrotti, incapaci, disonesti e i piccoli, il popolo, la gente, sfruttata e ingannata dalle élite: gente di cui i populisti si ritengono i soli e autentici paladini. È una visione ultra semplicistica delle nostre società, ma fa presa elettorale e non solo in Italia. Sono i discorsi di Podemos in Spagna, di Le Pen in Francia, dell'Fpo in Austria. E il messaggio che ha sostenuto e fatto vincere la Brexit. Dopo una tale sbornia di parole d'ordine, il risultato però è un forte mal di testa. E l'impasse, se capita di vincere.
In tal caso, o si lascia spazio alle élite, come è avvenuto nel Regno Unito dove il governo May non è certo un'accozzaglia di descamisados, oppure non si va da nessuna parte. Se poi si fanno compromessi con le élite e si entra al governo, come Haider nel decennio scorso o oggi i populisti finlandesi, il risultato è il tracollo elettorale del movimento. Meglio allora non farsi incantare dalle tricoteuses desiderose di tagliare le teste alle cosiddette caste. Le élite sono necessarie, di più, indispensabili. Bisogna però criticarle laddove sbagliano - e quelle europee hanno fallato parecchio in questi anni - e soprattutto aprirle, farle circolare, rinnovarle più rapidamente e in maniera fruttuosa. O i dilemmi Raggi si moltiplicheranno nel nostro Paese e nel mondo. 
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