Migranti, il piano del Viminale per alleggerire pressione su Roma

Migranti, il piano del Viminale per alleggerire pressione su Roma
di Sara Menafra
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Sabato 9 Luglio 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 17:15

Non si può ancora parlare di allarme rosso, anche perché i numeri del Viminale dicono che rispetto all’anno scorso i migranti in arrivo in Italia sono sostanzialmente stabili, con una crescita del 5%. Ma tra i tanti problemi di gestione concreta del fenomeno, uno dei più rilevanti tocca la distribuzione dell’accoglienza nelle singole province e regioni. Le grandi città e tra queste in particolare Roma, sono un polo di attrazione per chi arriva in cerca di una sistemazione definitiva o di un passaggio per spostarsi ancora. Per questo, anche partendo dalla richiesta di soluzioni rapide lanciato ieri dal sindaco Virginia Raggi, per i prossimi mesi, il Dipartimento libertà civili e immigrazione sta pensando a rivedere la distribuzione dell’accoglienza sul territorio nazionale, invitando le Regioni a coinvolgere in modo più omogeneo le singole strutture provinciali. L’indicazione, però, non potrà essere un ordine perentorio: il protocollo firmato nel 2014 affida alle Regioni il compito di stabilire chi mandare dove, una volta fissati i numeri per area, ma la “moral suasion” anche sui prefetti dovrebbe giocare la sua parte.
 
I NUMERI
Il problema si percepisce con forza a Roma. Dall’anno scorso a quest’anno sono aumentati sia i numeri dei richiedenti asilo ospitati in strutture di prima accoglienza, sia le stesse strutture. E i posti Sprar, ovvero quelli in residenze pensate per una permanenza più lunga, sono per la gran parte a Roma. Complessivamente si parla comunque di numeri molto bassi. In tutto il Lazio sono accolte ad oggi (dati aggiornati a ieri mattina) 9870 persone, il 7% di quelli arrivati in Italia. Buona parte, 6828, a Roma: 3114 negli Sprar che accolgono in tutta la regione 4143 richiedenti asilo; 885 nell’hot spot, ex Cara, di Castelnuovo di Porto, e 3714 in strutture di prima accoglienza temporanea, i “Cas”. Se si guarda ad un anno fa, la crescita c’è, in particolare per la prima accoglienza. Le strutture Cas in un anno sono passate da 24 a 60 e gli “accolti” da 1753 a 2638, escludendo il Cara di Castel nuovo che è rimasto pieno ora come 365 giorni fa. Ovvio dunque, che si debba pensare ad una redistribuzione, anche perché alcune province, una per tutte Rieti, sono ormai quasi desertificate dall’emigrazione.

L’EMERGENZA BAOBAB
A Roma, poi ci sono alcuni problemi specifici. Al primo fra questi, l’emergenza alle porte del centro Baobab, ieri il sindaco Raggi ha dedicato il suo primo Comitato ordine pubblico e sicurezza: «Si sta creando un problema di ordine pubblico perché i residenti sono inferociti - ha detto - il modello deve essere cambiato. Ora capiamo come gestire e risolvere in maniera rapida questa emergenza, ma poi però dobbiamo iniziare a individuare un percorso diverso che eviti l’emergenza e rispetti i diritti di tutti». La soluzione, ripete, sarà trovata «entro la prossima settimana».

La struttura affidata completamente ai volontari del Baobab sfugge ai numeri e ai paletti fissati per l’accoglienza. Qui, escluse dai conteggi del Viminale, circolano tra le 380 e le 450 persone ogni giorno, se ci si basa sul numero di pasti serviti dai volontari. Dopo lo sgombero di Natale, non ci sono più migranti alloggiati all’interno mentre molti dormono nella strada antistante e giù fino alle mura del Verano. Spostarli contro la loro volontà non è semplice, perché i richiedenti asilo regolarmente identificati e registrati non possono essere obbligati a risiedere dove non vogliono. E, se i posti per loro sono previsti altrove, alcuni cercano comunque di tornare nelle grandi città. Non a caso da tempo a Roma si discute di un centro di accoglienza per persone «in transito» analogo a quelli presenti a Milano o Parigi. L’anno scorso, la giunta Marino aveva annunciato che per questo scopo sarebbe stato ristrutturato il Ferrhotel, edificio di 1.100 metri quadri di proprietà di Ferrovie. Poi, dalla stima iniziale di 150 mila euro per i lavori di ristrutturazione e messa a norma, si è passati a quella, più reale, di 600 mila. E non se n’è fatto più nulla.

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