Guilio Regeni, bugie e depistaggi: l'ipotesi paramilitari dietro al delitto

Giulio Regeni
di Cristiana Mangani
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Venerdì 5 Febbraio 2016, 08:29 - Ultimo aggiornamento: 17:07

E ora si parla di gruppi paramilitari, degli stessi apparati di sicurezza egiziani che erano stati indicati sin dal primo momento come i possibili responsabili della scomparsa di Giulio Regeni. Il ricercatore italiano è stato trovato senza vita in un fosso nella zona desertica tra Il Cairo e Alessandria, nudo dalla cintola in giù. E, nonostante i tentativi goffi di depistare le indagini da parte del direttore del Dipartimento investigativo di Giza, Khaled Shala che ha parlato di un incidente stradale, sono bastati i risultati dell'autopsia e le dichiarazioni del direttore della procura locale, Hosam Nassar, a confermare che il giovane italiano ha avuto una morte lenta, dopo mille torture. Tagli di coltello, orecchie mozzate, naso deturpato, occhi pesti, bruciature di sigarette, sevizie di ogni tipo e un colpo in testa, che potrebbe essere stato la causa del decesso.


LA SEGNALAZIONE
Ma c'è di più, perché i misteri in questa drammatica vicenda aumentano di ora in ora. E iniziano dal 25 gennaio, giorno in cui cadeva il quinto anniversario della rivolta studentesca di piazza Tahrir, breve momento di democrazia di un paese millenario. Il Cairo è presidiato anche più del solito da forze armate e polizia. Giulio avverte gli amici che sarà lì con loro, che sta uscendo di casa a el Dokki, quartiere centrale di Giza. Poi silenzio, nessuna notizia.
 
Scompare nel nulla. La prima a dare l'allarme è Noura Wahby, compagna di università a Cambridge, sua carissima amica. Le autorità italiane chiedono informazioni. Dai servizi di sicurezza arriva una smentita: non è in carcere, né in ospedale, non sappiamo dove si trovi. Eppure c'è già una testimonianza che accredita la tesi dell'arresto o di una sorta di “rastrellamento” che in quelle ore porterà in carcere ben 300 attivisti o presunti tali. È di una giornalista egiziana, racconta di aver visto alla fermata della metro di Giza la polizia mentre arrestava uno straniero. Potrebbe trattarsi proprio di Giulio.

LA TELEFONATA
Passano 10 giorni e il 3 febbraio viene scoperto il cadavere davanti alla fondazione “Hasem Hassan” sulla strada desertica Cairo-Alessandria all'altezza di 6 October City (immenso quartiere all'estrema periferia del Cairo, ndr), distante circa una quarantina di chilometri dal luogo in cui Regeni è scomparso. I giornali egiziani parlano di una telefonata che segnala il corpo, a trovarlo sarebbero stati un gruppo di operai. La segnalazione e più niente, scomparsi nel nulla pure loro. Dal rapporto preliminare dell'esame autoptico risulterebbe anche che il giovane ricercatore sarebbe stato ucciso non più di tre giorni prima del ritrovamento. Dove si trovava mentre tutti lo cercavano? Chi lo ha tenuto segregato?

In queste ore la procura ha ordinato di interrogare gli amici del dottorando italiano, perché è proprio dietro i suoi studi e la sua attività di ricerca che potrebbe nascondersi il possibile movente. Regeni era iscritto a Cambridge al Dipartimento studi politici internazionali ed era specializzato in conflitti e processi di democratizzazione. Stava cercando materiale per la sua tesina sull'autonomia dei sindacati locali durante il governo di Al Sisi. Nel frattempo scriveva per il quotidiano Il Manifesto: pezzi di analisi sulle difficoltà dei lavoratori in quel Paese. Temi delicati che forse lo avrebbero reso sgradito e che gli avevano fatto preferire l'uso di uno pseudonimo come firma.

LE BUGIE
Dal giorno in cui era arrivato in Egitto, aveva cercato possibili contatti con chi doveva aiutarlo nella ricerca sui diritti dei lavoratori. Chissà se questa attività non abbia attirato l'attenzione di organismi para-istituzionali che hanno calcato troppo la mano, cercando poi di mascherare il delitto come se si fosse trattato di un atto criminale, di una rapina, di un incidente stradale, o di chissà che altro. Suonano strane, infatti, in queste ore, le teorie che circolano sui giornali e i media “embedded”, ovvero che possa essersi trattato di “una regia occulta” che volesse così colpire i rapporti tra l'Egitto e l'Italia. O ancora che Regeni potesse aver avuto sul suo cellulare contatti con attivisti dei “Fratelli musulmani”. Quasi a voler trovare una giustificazione ai comportamenti disumani e criminali che ha subìto.

Sulla base delle scarse indicazioni che sono arrivate da Il Cairo, la procura della Capitale, ieri ha aperto un'inchiesta per omicidio, che è stata affidata al pubblico ministero Sergio Colaiocco. Oggi, poi, nel solco di una collaborazione che è stata garantita dal presidente Al Sisi, sette investigatori del nostro paese (tre del Ros, tre dello Sco e uno dell'Interpol) si recheranno in Egitto per presenziare all'attività di indagine. Nel frattempo la bara con il corpo del ricercatore di Fiumicello rientrerà in Italia, dove è previsto l'arrivo per domani.

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