Migranti, Alfano: «Rimpatri o caos
le quote sono una delusione»

Angelino Alfano
di Cristiana Mangani
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Mercoledì 27 Gennaio 2016, 08:23 - Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 09:03

Ministro Alfano, se salta Schengen che succederà?  «Per ora il trattato è salvo, ma il diritto di libera circolazione rimane fortemente sotto attacco. Se da qui alle prossime settimane non diminuiranno i flussi migratori, soprattutto quelli provenienti dalla rotta balcanica, c’è il rischio che salti tutto».

Per l’Italia questo potrebbe voler dire conseguenze disastrose. Che soluzioni abbiamo? «Dobbiamo stringere patti importanti con la Turchia proprio per tentare di far diminuire il flusso dei profughi che partono da lì e seguono la rotta balcanica. Al tempo stesso bisogna sostenere la Grecia nel presidiare quella frontiera».

Nei giorni scorsi il premier Renzi sembrava aver manifestato qualche dubbio riguardo alla nostra parte di stanziamento per il governo di Ankara.«No, nessun dubbio. Abbiamo sempre detto di sì al contributo alla Turchia. Qui però si tratta di prenderli dal bilancio comunitario. Oppure, qualora li debbano versare pro quota gli stati membri, è necessario che tali investimenti o spese rimangano fuori dal patto di stabilità. Il punto è questo: l’accordo con la Turchia è una priorità».

 

C’è poi la volontà di rivedere il regolamento di Dublino. L’Italia non rischia anche questa volta di rimanere sola? «La nostra idea è che vada rivisto, perché non si può caricare tutto al paese di primo ingresso. Va costruito un meccanismo automatico di redistribuzione dei profughi nei 28 paesi europei. Per questo - ribadisco - nell’emergenza occorre fare l’accordo con la Turchia. Dopo di che bisogna rimettere in campo varie situazioni: la prima è applicare le decisioni già assunte, perché è insostenibile che i governi non abbiano rispettato l’impegno riguardo alla decisione presa ad aprile scorso di fare hotspot, ricollocamenti e rimpatri. Stanno procedendo solo gli hotspot, tutto il resto non ha proprio funzionato».

I dati effettivamente sono sconfortanti: solo 331 ricollocamenti sui 160 mila che dovevano essere trasferiti dall’Italia e dalla Grecia. «Numeri da condominio, qualcosa di veramente deludente. L'idea della redistribuzione era giusta, ma non ha funzionato. Noi contiamo, in Europa. Sono stato al centro di numerosi accordi bilaterali importanti. Dobbiamo essere di buonsenso, in ogni caso, e metterci nei panni dei tedeschi, che non vuol dire giustificare la chiusura di Schengen, ma organizzare un sistema differente. La nostra proposta è di aiutare i paesi che hanno avuto maggiore peso dalla rotta balcanica e far sì che i flussi diminuiscano. Intanto stiamo andando avanti con gli hotspot per non dare pretesti a chi li cerca. Hanno prevalso e stanno prevalendo egoismi nazionali rispetto a una esigenza che, invece, è quella di fronteggiare insieme con spirito solidale la questione, sapendo che questa solidarietà si sposa con la responsabilità di prendere le impronte digitali e di costruire gli hotspot. Il problema è che non si può chiedere responsabilità senza offrire solidarietà».

Note dolenti anche sui rimpatri, forse la principale emergenza per il nostro paese. «La questione dei rimpatri può far saltare tutto. Per noi sono indispensabili. Lo abbiamo già detto varie volte che il sistema salterà se non funzioneranno, perché, siccome i soggetti da rimpatriare secondo l’indicazione europea devono stare nei centri chiusi, quindi in un circuito da cui non possano uscire, se non funzionano si accumuleranno anno dopo anno i soggetti da rimpatriare e da trattenere nei centri. Si rischiano numeri grossi».

Urge quindi la ricerca di una soluzione per Dublino. Ma se non siamo riusciti a ottenere un impegno concreto sui ricollocamenti, non si rischia un nuovo flop nel tentare l’accordo per un revisione del patto? «È importante dire che sta emergendo un aspetto nuovo di interessi su Dublino. Mi riferisco alla Germania e a tutti quei paesi che possono aver necessità di modifiche, tipo l’Austria e la Svezia. Questo significherebbe un sostegno importante, ed è proprio la cosa che ho lanciato al Gai di Amsterdam, ovvero l’idea di costruire un’alleanza di stati che sostenga la revisione di Dublino. Ma una revisione che sia radicale».

La criticità della situazione ripropone il problema degli eventuali respingimenti. L’Italia si è sempre detta contraria. C’è il rischio che cambi qualcosa? «Noi abbiamo un tema rispetto a Schengen che è di buonsenso e che vorrei sottoporre agli occhi di tutti, ed è che siamo una penisola e non possiamo certo edificare muri o porre fili spinati sul mare. Il tema di porre una frontiera a Nord non faciliterebbe la gestione degli ingressi e delle uscite. E comunque, senza voler fare questo ragionamento, basti pensare all’enorme danno che potremmo subire con il blocco di Schengen, sia sul piano turistico che sulla circolazione delle merci, oltre che delle persone».

Potrebbe avere qualche utilità aprire degli hotspot nel Nord del paese? «Gli hotspot servono per prendere le impronte digitali dei migranti, per distinguere quelli che sono richiedenti asilo o profughi, e quelli che invece sono migranti irregolari. Dunque la questione non è dove farlo per una decisione del governo, sono i flussi migratori che guidano. Mi spiego: se è previsto un flusso da Nord non si può immaginare che le impronte digitali vengano prese a Taranto o a Lampedusa o a Trapani. Bisogna prenderle dove arrivano. I luoghi sono quelli che le circostanze reali ci indicano come i più vicini ai posti dove si verificano gli ingressi».

Quanto pesa la minaccia terroristica sulla chiusura delle frontiere? «La circolazione deve essere libera e deve essere anche sicura, e il modo per conciliare queste due cose è un rafforzamento dei controlli alla frontiera esterna, perché solo così possiamo salvare Schengen. Se si controlla bene la frontiera esterna, quella che descrive i confini dell’Unione europea, anche con corpi di guardia di frontiera europei, potremmo continuare a realizzare il principio della circolazione libera. Ma per realizzarlo servono iniziative».

A questo proposito, che fine ha fatto la direttiva sul Passenger name recorder, l’archivio con i dati personali di chi viaggia in aereo? «La direttiva sul Pnr è stata approvata a livello del Parlamento europeo ed è sicuro che entrerà in vigore. Alla riunione in Olanda c’era anche il presidente della Commissione che è preposto a questo scopo e, mi sembra, che ci siano tutte le condizioni affinché diventi operativa».

Un ultima domanda, ministro: parteciperemo alla missione militare in Libia? «Non c’è alcuna decisione presa e tenuta nascosta. Qualora dovesse esserci, anche se finora non è in campo, avverrebbe nel massimo della trasparenza, di fronte al Parlamento e al paese». 

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