Il Papa visita la sinagoga di Roma: «Ebrei sono nostri fratelli maggiori»

Il Papa visita la sinagoga di Roma: «Ebrei sono nostri fratelli maggiori»
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Domenica 17 Gennaio 2016, 17:05 - Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 09:34

Entusiasmo per la visita di Papa Francesco, al suo arrivo davanti la sinagoga di Roma, salutato da un applauso dalla folla. Romani e molti turisti hanno immortalato l'ingresso del pontefice con i loro smartphone e tablet. Anche dall'interno della sinagoga c'era chi non ha voluto perdersi l'occasione di avere una foto del Papa sul suo telefonino. Tanti gli smartphone che si sono 'affacciatì dalle finestre aperte proprio sopra l'ingresso della sinagoga. «È arrivato in sordina. Con il suo stile sobrio» commenta una signora non appena lo vede da lontano. «Is the Pope? Is the Pope? Fantastic!», dice una turista americana incredula di trovarsi a pochi metri dal pontefice.



Il panorama dei rapporti tra cattolici ed ebrei, «innegabilmente positivo, non deve indurre alcuno a interrompere il cammino intrapreso per raggiungere nuovi e ulteriori progressi». Lo ha detto il presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, nel suo discorso durate la visita del papa in Sinagoga. In particolare, ha affermato, «ritengo necessario realizzare una strategia comune che consenta un'ampia diffusione presso tutta la popolazione, della conoscenza del grande lavoro svolto e del consolidamento dei sentimenti di rispetto reciproco di amicizia e di fratellanza che fino ad oggi sono rimasti circoscritti ai vertici religiosi e culturali; ancora circolano con frequenza pregiudizi e discorsi improntati a un disprezzo che ci offende e ci ferisce». «Guardiamo alle giovani generazioni - ha aggiunto Gattegna - con la speranza che sappiano cogliere i frutti di quanto abbiamo seminato, e molto altro, per affermare i valori del dialogo e della vita»

 


Applausi e tutti si alzano in piedi, compreso Papa Francesco, quando il presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, ha ricordato, parlando nella Sinagoga di Roma, «oggi in prima fila i nostri sopravvissuti alla tragedia della Shoah». L'incontro di oggi «dimostra che il dialogo tra le grandi fedi è possibile». ha detto ancora la  Dureghello, sottolineando come la distanza tra la Sinagoga e San Pietro «seppur breve, è sembrata per secoli incolmabile».

IL RABBINO CAPO
La visita del Papa in Sinagoga è «un segnale molto forte che si oppone all'invasione e alla sopraffazione delle violenze religiose»: è quanto ha detto il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, nel saluto rivolto a Bergoglio in Sinagoga. «La triste novità dei nostri giorni è che - ha rimarcato - dopo i due secoli di disastri prodotti da nazionalismi e ideologie la violenza torna a scatenarsi alimentata e giustificata da visione fanatiche ispirate dalla religione. E di nuovo si scatenano persecuzioni religiose».  Il rabbino ha proseguito sottolineando che «l'impulso distruttivo, in assenza di altri riferimenti e scuse, trova nella religione il sostegno e l'alimento». Nell'incontro in Sinagoga «accogliamo il Papa per ribadire che le differenze religiose, da mantenere e rispettare, non devono però essere giustificazione all'odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia e collaborazione e che le esperienze, i valori, le tradizioni, le grandi idee che ci identificano devono essere messe - ha proseguito - al servizio della collettività». «Dobbiamo insieme far sentire la nostra voce contro ogni attentato di matrice religiosa, in difesa delle vittime. Ma non dobbiamo essere insieme solo per denunciare gli orrori; dobbiamo - ha concluso - lavorare e collaborare nel quotidiano



IL PAPA
«Nella mia prima visita a questa Sinagoga come Vescovo di Roma, desidero esprimere a voi, estendendolo a tutte le comunità ebraiche, il saluto fraterno di pace di questa Chiesa e dell'intera Chiesa cattolica». Lo ha detto papa Francesco nel suo discorso durante la visita alla Sinagoga di Roma.
«Le nostre relazioni mi stanno molto a cuore», ha detto ancora il Papa. «Già a Buenos Aires - ha spiegato - ero solito andare nelle sinagoghe e incontrare le comunità là riunite, seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche e rendere grazie al Signore, che ci dona la vita e che ci accompagna nel cammino della storia». «Nel corso del tempo - ha aggiunto Francesco -, si è creato un legame spirituale, che ha favorito la nascita di autentici rapporti di amicizia e anche ispirato un impegno comune».

«Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede». «Tutti quanti apparteniamo ad un'unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo», ha affermato. «Con questa mia visita - ha ricordato Bergoglio - seguo le orme dei miei Predecessori. Papa Giovanni Paolo II venne qui trent'anni fa, il 13 aprile 1986; e Papa Benedetto XVI è stato tra voi sei anni or sono. Giovanni Paolo II, in quella occasione, coniò la bella espressione 'fratelli maggiorì, e infatti voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede». Nel dialogo interreligioso, ha aggiunto, «è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare». «E nel dialogo ebraico-cristiano - ha sottolineato il Pontefice - c'è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr Dich. Nostra aetate, 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro».

«Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli», ha ribadito papa Francesco nel suo discorso alla Sinagoga di Roma, ricordando che «abbiamo da poco commemorato il 50/mo anniversario della dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II, che ha reso possibile il dialogo sistematico tra la Chiesa cattolica e l'ebraismo». «La dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico - ha detto il Papa - merita di essere sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e perseveranza. Proprio da un punto di vista teologico, appare chiaramente l'inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei». I cristiani, «per comprendere sè stessi - ha aggiunto -, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l'irrevocabilità dell'Antica Alleanza e l'amore costante e fedele di Dio per Israele».

«Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: sì alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; no ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano
»«Tutti quanti apparteniamo ad un'unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme, come ebrei e come cattolici, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali».

«Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell'umanità e ci chiamano a rafforzare l'impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell'uomo sull'uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche».
«Insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all'umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato», ha affermato Francesco. «La vita è sacra, quale dono di Dio - ha proseguito -. Il quinto comandamento del Decalogo dice: 'Non ucciderè. Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso». Ogni essere umano, ha aggiunto, «in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi.
Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla
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«Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli col cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro».

«Il popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perchè appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un'ideologia che voleva sostituire l'uomo a Dio», ha detto il Pontefice. «La Shoah - ha aggiunto - ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace». «Vorrei esprimere la mia vicinanza ad ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a coloro che sono oggi qui presenti», ha quindi detto rivolgendosi ad alcuni ex deportati presenti nel Tempio.

Parla anche in ebraico Papa Francesco, aprendo e chiudendo il suo discorso, rivolto agli ebrei all'interno della Sinagoga di Roma, terzo pontefice nella storia della Chiesa cattolica a visitarla. Todà rabbà!, ovvero Grazie!, è il suo esordio con il quale ricambia per la calorosa accoglienza che gli è stata riservata. E al termine del suo intervento, conclude con una esclamazione tipica della tradizione ebraica: Shalom alechem!: La pace sia con voi!


 

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