Walà, il Welfare Manager che orienta e semplifica

Walà, il Welfare Manager che orienta e semplifica
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Lunedì 14 Febbraio 2022, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 11:00

Indagine Welfare e Comunicazione. Nel terzo appuntamento della nuova rubrica dedicata alle modalità tramite cui il mondo del welfare aziendale comunica, e si comunica, ai propri utenti, dialoghiamo con Martina Tombari CEO e CO-Founder della giovane Walà società benefit

La ricetta per una buona comunicazione: le opportunità di welfare (pubblico e integrato) sembrano molto più numerose di quelle che sono note agli utenti, come è possibile colmare questo gap informativo e come si può far comprendere appieno i propri diritti?

La comunicazione nelle azioni di welfare è un elemento imprescindibile e fornisce un tassello che determina la riuscita del progetto. È un tema che si pongono (o si dovrebbero porre) tutti gli attori del Welfare: il Pubblico, gli Enti del Terzo Settore e le Aziende. La questione della comunicazione del progetto di Welfare è ancora più delicata e cruciale se si tratta di interventi di welfare integrato, che si sviluppa attraverso azioni che oltrepassano la “classica” ripartizione, come nel caso dei nostri progetti, e che si sviluppano su tre assi di welfare: pubblico, territoriale e aziendale. Con Walà lavoriamo nel l’ambito del welfare pubblico, come facilitatori nei piani di co-programmazione e co-progettazione pubblico-privato attivati dai Comuni, ex art 55 e 56 del Codice del Terzo Settore. Ad esempio, si è da poco concluso il progetto con il Comune di Siena e alcuni enti del Terzo Settore per allocare le risorse dei “Fondi Covid 19”, per il quale abbiamo seguito il tavolo dedicato alla disabilità.
Il nostro ruolo è stato quello di fare da mediatori – con attività di “semplificazione” – nella relazione con il Comune, accompagnando la Pubblica Amministrazione nella redazione del progetto e nella stesura del budget. È stata un’attività particolarmente interessante e importante, dato anche il drammatico impatto della pandemia sulle persone con disabilità e sulle loro famiglie, e ci ha dato grade soddisfazione collaborare a questo progetto che, grazie alle risorse statali aggiuntive, potrà portare azioni innovative e realmente impattanti per il territorio e per i cittadini.

Riteniamo infatti che il tema della co- programmazione e co- progettazione sia un’opportunità fondamentale per gli Enti del Terzo Settore e porteremo il nostro punto di vista nelle docenze su questo tema al Executive Master Terzo Settore e Impresa Sociale organizzato da Altis, Università Cattolica di Milano. Stiamo lavorando anche a un progetto finanziato da Fondazione Monte dei Paschi di Siena, un progetto che ci piace definire di “Welfare a filiera corta”, volto a integrare le opportunità per le famiglie in condizione di fragilità, allo scopo di rendere accessibili i servizi, oltre che per i beneficiari già in carico, anche al resto della cittadinanza, comprendendovi la domanda pagante. Questo progetto da un lato contrasta il problema della frammentazione delle risorse e dall’altro va nella direzione – da noi condivisa – della responsabilità dei sistemi di welfare nel rispondere ai reali bisogni e di non fermarsi all’accoglienza della mera domanda.

Il welfare aziendale poi, si configura come un’ulteriore opportunità per venire incontro ai bisogni dei lavoratori in azienda, lavoratori che sono anche e soprattuto cittadini di un territorio. Anche per questo motivo la comunicazione interna ed esterna del Piano di welfare è dirimente nel determinare il livello di partecipazione e coinvolgimento del personale e la capacità dell’azienda di attestarsi come attore sul territorio. L’azienda, attraverso una buona comunicazione del progetto di Welfare studiato per i propri lavoratori, è in grado di dimostrare quanto sia capace di prendersi cura del benessere delle persone, e di sensibilizzare rispetto a quanto il welfare aziendale non si riduca solamente all’allocazione delle risorse defiscalizzate che generano un risparmio per l’azienda. Questo è il rischio e il malinteso che può generarsi facilmente se si fa welfare in maniera superficiale.

Per evitare che le aziende incorrano in questo vizio, come dovrebbe essere impostata la relazione con i dipendenti?

Partirei dal fatto che il piano di welfare va progettato su misura per ciascuna realtà: il campo di gioco è lo spazio tra la volontà dell’azienda di incidere sulle politiche di benessere organizzativo e le necessità, raccolte con attenzione dopo un’attività di ascolto tramite survey specifiche, dei bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie. Anche in questo caso, la comunicazione del piano di welfare è parte integrante della progettazione stessa e non può essere un processo standard. La strategia di comunicazione è infatti strettamente legata alla mission aziendale, al contesto territoriale, ai bisogni cui si vuole dare risposta. Nella progettazione di un piano di Welfare bisogna essere presenti e attenti anche durante la fase di erogazione dello stesso, quello della messa a terra dei servizi e della spiegazione delle opportunità a favore dei lavoratori dell’azienda. Per supportare questa fase delicata e fondamentale per la buona riuscita del piano di welfare crediamo che sia importante l’istituzione del ruolo del welfare manager, la figura che può incontrare i lavoratori, attraverso un punto di “ascolto e orientamento” fisico dove le persone possono essere ascoltate e – attraverso un percorso volto all’emersione del bisogno reale – possano essere orientate verso i servizi provenienti o da welfare pubblico o erogate da Enti del Terzo Settore presenti sul territorio.

Il Welfare Manager è quindi una figura professionale con una competenza mista, in materia di welfare aziendale, pubblico e territoriale. Compito del welfare manager è anche quello di indirizzare e orientare rispetto all’utilizzo più adeguato del budget di wefare allocato e anche in questo caso l’azione di accompagnamento diventa fondamentale: è sempre poco opportuno, controproducente e poco efficace “autodiagnosticare” i propri bisogni e orientarsi autonomamente nell’individuazione del servizio più congruo.

In sintesi, il “punto di ascolto” attivato con il supporto del Welfare Manager diventa l’azione cruciale in termini di comunicazione, perché risulta essere la vera cerniera tra i bisogni e i servizi e incide in modo significativo sulla possibilità dei lavoratori di trovare risposte concrete e utili alle proprie reali necessità, accrescendo notevolmente sia l’utilizzo del welfare sia la sua efficacia.

Come si introduce la figura del welfare manager e come si educa al dialogo?

Il welfare manager è una figura nuova e non istituzionalizzata. Nelle grandi aziende sono figure interne che afferiscono agli HR e si occupano di fare scouting per la ricerca di provider per poi programmare i piani specifici di welfare. In altri casi sono esterni e, dal nostro punto di vista, la caratteristica della terzietà può rappresentare un plus, soprattutto nella fase di ascolto one to one, perché i lavoratori si sentono più liberi nel dialogo. È fondamentale inoltre che sia chiaro l’obiettivo dell’azienda nel mettere in campo determinate azioni, perché queste possano essere strutturate in maniera adeguata e aderente alle esigenze dell’azienda stessa in termini di necessità assistenziale, attrattività e inclusione. Infatti, i motivi per cui un’azienda decide di impegnarsi in un progetto di Welfare sono i più disparati ed è prerogativa del welfare manager saperli esprimere al meglio tanto negli obiettivi da raggiungere quanto negli esiti.

Potremmo riepilogare un circuito virtuoso di comunicazione e azione?

Siamo partiti con l’analisi della co- progettazione di un piano di welfare, abbiamo analizzato la figura del welfare manager in azienda nella sua funzione di faciltatore. In conclusione è necessario trattare della tematica della restituzione e valutazione dell’impatto generato dal piano di welfare per rimodellare le strategie dell’azienda per gli anni successivi. Un piano strutturato al meglio può anche non trovare riscontro positivo da parte del personale e in alcuni casi i KPI possono non restituire la fotografia e i risultati ipotizzati nella prima fase. Per questo al termine di tutto il processo è raccomandabile una fase di valutazione reale dell’impatto per la definizione di un un bilancio reale che possa ottimizzare la strategia, per eliminare ciò che non ha funzionato e affinché il dialogo possa essere orizzontale e sinergico tra tutte le parti interessate.

Lucia Medri

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