«Vedere Dio nel mondo e il mondo in Dio»

«Vedere Dio nel mondo e il mondo in Dio»
di Alberto Oliverio
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Venerdì 17 Ottobre 2014, 16:16 - Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 16:59
Nella notte tra il 20 e il 21 luglio del 1969 Paolo VI si recò alla specola di Castel Gandolfo dove osservò la Luna attraverso il telescopio.



Poi seguì davanti al televisore le fasi dell'allunaggio, quello che egli definì “l’audacissimo volo” che aveva portato l’uomo sulla Luna. Il giorno dopo, in occasione dell’Angelus in piazza San Pietro, commentò l’evento che i meno giovani di noi ancora ricordano con queste parole: “Questa scoperta nuova del mondo creato è assai importante per la nostra vita spirituale. Vedere Dio nel mondo, e il mondo in Dio: che cosa v’è di più estasiante? Non è questo il lume amico e stimolante che deve sorreggere la veglia scientifica dello studioso? Non è così che fugge il terrore del vuoto, che il tempo smisurato e lo spazio sconfinato producono intorno al microcosmo, che noi siamo?”



Queste frasi di Paolo VI riassumono in qualche modo i rapporti e la posizione del Pontefice nei confronti della scienza: da un lato un forte interesse per l’avanzamento scientifico e tecnologico, dall’esplorazione dello spazio ai crescenti successi della genetica, della biologia molecolare e delle neuroscienze, dall’altro il suo continuo riferimento al fatto che nel momento in cui lo scienziato incontra e scopre le leggi della natura, le caratteristiche dell’Universo, potrebbe cadere in uno stato di confusione se i risultati scientifici non portassero anche al riconoscimento, o almeno all’intuizione, della presenza di una saggezza trascendentale che spieghi la presenza di tali leggi.



Nelle concezioni più volte espresse da Paolo VI, scienza e fede non sono in contrapposizione, i due settori non sono estranei l’uno all’altro, hanno dei punti di incontro cosicché le metodologie proprie di ciascuno dei due campi permetterebbero di mettere in evidenza diversi aspetti della realtà. Per papa Montini, insomma, la scoperta delle caratteristiche intime della natura, la progressiva conoscenza delle sue leggi, ci parla di Dio, di un ordine soprannaturale.



Dal punto di vista storico, gli anni del papato montiniano sono stati caratterizzati da un’ondata di scoperte e successi scientifico-tecnologici di primaria importanza, dalla crescente conoscenza dei codici genetici e meccanismi molecolari all’esplorazione dello spazio: successi e raggiungimenti che non sempre avevano suscitato un unanime entusiasmo.



Non pochi, tra gli stessi intellettuali, videro nella conoscenza dei “segreti” della vita un impoverimento della dimensione umana, nell’esplorazione lunare una perdita di quell’alone di poesia e mistero che aveva caratterizzato l’animo umano nei confronti dell’ignoto.



Va detto che la posizione di Montini fu decisamente più laica: Paolo VI dimostrò una reale propensione e adesione nei confronti della cultura scientifica, rinvigorì la Pontificia Accademia delle Scienze, nominò tra i suoi membri personalità di spicco, spesso laiche, come David Baltimore (che scoprì i virus responsabili di alcuni tumori), Rita Levi Montalcini, Marshall Nirenberg (che ricevette il Nobel per i suoi studi sulla sintesi proteica), Roger Sperry, altro Nobel per i suoi studi sul cervello: e alla presidenza dell’Accademia nominò un laico, il brasiliano Carlos Chagas.



I rapporti di papa Montini con la scienza gettano quindi un alone laico sulla sua concezione del mondo? Indubbiamente egli credeva nella scienza e non solo perché la riteneva uno strumento rivelatore del disegno del Creatore. Nel 1966, nel ricevere gli Accademici e gli altri scienziati che partecipavano alla settimana di studio sulle forze molecolari, Paolo VI riconfermò i collegamenti esistenti tra l’uomo e la scienza, e ricordò che la Chiesa riconosce e valorizza l’importanza della ricerca scientifica, così come ammira e incoraggia gli sforzi intellettuali e organizzativi necessari a intraprendere tale ricerca.



Parlando nell’udienza generale due giorni dopo la storica sorprendente impresa spaziale, Papa Montini rifletteva sui progressi scientifici che arrivano “a modificare la mentalità umanistica tradizionale”, quindi la nostra vita. E concluse affermando che “ciascuno vi pensi a suo modo, purché vi pensi”, parole che sottolineano la dimensione razionale del suo modo di guardare alla realtà. D’altronde, secondo Paolo VI, lo scienziato, sulla base delle sue qualità morali e della devozione nei confronti del suo lavoro, è «un asceta, talvolta un eroe» nei confronti del quale l’umanità intera è debitrice.



Il concetto del “disegno divino”, che in seguito diventò un punto centrale nei movimenti che negli USA si oppongono drasticamente alle teorie evoluzionistiche darwiniane, rappresenta ovviamente un aspetto che separa il pensiero dei credenti rispetto a quello dei non credenti.



Tuttavia, se Paolo VI sosteneva che “la natura nasconde delle possibilità segrete, che spetta all’intelligenza scoprire e mettere in atto, per giungere allo sviluppo che è nel disegno del Creatore”, una speranza “in grado di dare al ricercatore credente una energia nuova e serena”, egli sostenne anche una concezione “pratica” e applicativa della scienza, in grado di rispondere ai bisogni materiali degli esseri umani.



Questa dimensione morale ed etica dell’operare a beneficio dell’uomo è ben evidente nel suo discorso del 19 aprile 1975, secondo cui l’Accademia può e deve rendere un considerevole servizio all’umanità migliorandone le condizioni di vita. Affermò pertanto che lo scienziato «deve lealmente interrogarsi sull’avvenire terrestre dell’umanità e – da uomo responsabile – concorrere a prepararlo, a preservarlo, a eliminare i rischi; noi riteniamo che questa solidarietà con le generazioni future sia una forma di carità alla quale molti, del resto, sono oggi sensibili nel quadro dell’ecologia».



In diverse occasioni Paolo VI sottolineò come la scienza dovesse essere posta al servizio dell’uomo, anche in quanto avrebbe favorito “una mentalità che rende possibile un dialogo fiducioso, sincero e rispettoso con tutti coloro che sono impegnati nel comune destino dell’umanità” e indicò come una riduzione dei rischi fronteggiati dall’umanità fosse una forma di solidarietà con le generazioni future, una forma di carità in senso cristiano.



Al tempo stesso, sostenne che anche la ricerca della verità fosse una forma di carità, il che indica, a mio parere, che il pensiero di papa Montini era caratterizzato da una sorta di amalgama di fede e razionalità, oserei dire laica.
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